L’illusione dell’intelligenza artificiale come deus ex machina si è rivelata tale, nient’altro che illusione: non è né intelligente, né artificiale. Ma se i pericoli dell’IA non sono che sintomi di una malattia, qual è allora la malattia, la sua radice profonda e corrosiva? E’ l’erosione lenta della cultura come pratica di discernimento, il trionfo dell’ignoranza emozionale come linguaggio di massa. Il consenso non si costruisce sull’argomentazione razionale, bensì sulla manipolazione percettiva. Il cittadino non è più un interlocutore, ma un target; non partecipa, reagisce. In questo scenario, la figura del “bullo al potere” non è un’anomalia: è l’esito sistemico di una politica che ha rinunciato alla pedagogia per abbracciare la performance. I più svelti, cinici e astuti, hanno guadagnato le postazioni di dominio, e sarà difficile disarcionarli, perché hanno acquisito know how, si sono dotati di strumenti sofisticati e risorse illimitate.
La parabola è irreversibile?
Max Weber parlava di “disincanto del mondo” per descrivere la perdita di sacralità e di mistero nella modernità. Ma oggi viviamo un disincanto rovesciato: date uno sguardo a quel che accade negli Stati Uniti. Si discredita la scienza, si ridicolizzano le competenze, si semplifica l’analisi: ogni complessità è sospetta, ogni dubbio è tradimento. È in questa voragine epistemica che si innestano le nuove tecniche di potere: algoritmi che premiano la rabbia, leader che parlano “come la gente”, retoriche che sostituiscono il pensiero con l’identificazione emotiva. Il cittadino non è più chiamato a comprendere, ma a tifare.
La beatitudine dell’ignoranza ha perso ogni spiritualità. È diventata arma politica. L’ignorante non sa di esserlo, e questo lo rende fedele. Accetta l’autorità senza pretenderne la legittimità, crede nella menzogna purché lo faccia sentire incluso. Non è solo una questione di leadership personale. I bulli al potere incarnano un tipo nuovo di autorità: non fondata sulla competenza, né sulla visione, ma sul carisma costruito attorno all’aggressività e alla semplificazione. Più insultano, più risultano autentici. Più distruggono, più sembrano “fuori dal sistema”. È un nichilismo travestito da spontaneità. E funziona.
Saremo capaci di abitare i linguaggi digitali, senza farsi colonizzare? Impareremo come dubitare, piuttosto che inseguire “cosa” pensare? come convivere, piuttosto che come vincere?







