Di fronte a ciò che sta accadendo, le parole “negoziato” o “alleanza” risultano grottesche. Siamo dentro una ristrutturazione brutale dei rapporti di forza tra Stati Uniti ed Europa, una torsione strategica che il governo italiano sta subendo in colpevole silenzio. Il 30% dei nuovi dazi americani colpirà il Vecchio Continente — in particolare l’Italia — mentre solo il 25% andrà contro l’Ucraina, in apparente rottura con la narrativa ufficiale della difesa dei “valori occidentali”. La Russia, paradossalmente, risulta esentata: nessun dazio, nessuna rappresaglia economica. Questo elemento, da solo, dovrebbe bastare a destituire di credibilità l’intera retorica delle “sanzioni contro Mosca”, diventata ormai copertura diplomatica per un altro tipo di guerra: quella commerciale e politica, combattuta contro l’Europa stessa, dai suoi presunti alleati.
Il nostro governo si limita a predicare cautela. Si parla di trattare, come se il problema fosse una sfumatura di forma, un linguaggio da correggere. In realtà si è scelto, per viltà o per calcolo, di rinunciare a ogni leva. L’unica risposta strutturale che l’Italia — e l’Europa — avrebbe potuto esercitare era l’imposizione di un regime fiscale equo alle Big Tech americane, colossi che drenano risorse, dati, attenzione, controllo politico. E invece, nulla. Le piattaforme restano immuni. Non solo: vengono lasciate libere di operare come attori politici non dichiarati, inondando la Rete italiana di contenuti filogovernativi, suggestioni propagandistiche, deformazioni algoritmiche, sostenute da tecnologie che parlano americano e che — guarda caso — conoscono benissimo l’italiano. E il russo.
C’è una forma di servitù che è peggiore dell’obbedienza: il nascondimento della propria sottomissione. I “patrioti” di casa nostra sventolano la bandiera sbagliata. Non quella dell’Italia, e nemmeno quella di una dignitosa Europa federale, ma quella del presidente americano. Le dichiarazioni pubbliche sono attente, misurate, prudenti. E interessate. Si teme la rappresaglia, si teme il tweet presidenziale, si teme l’imposizione diretta. Lo schema è quello di Don Vito Corleone: ti faccio un’offerta che non puoi rifiutare.
L’Italia sta abbandonando le poche difese che aveva, fingendo che siano ancora negoziabili. Il 5% del PIL in spese NATO — misura inedita e mai discussa davvero in Parlamento — non è bastato. Non basta mai. La narrazione di Giorgia Meloni si è rivelata sbagliata. E il governo, per non far arrabbiare il Boss, ha deciso di rinunciare anche all’unica forma di deterrenza rimasta: la fiscalità, il diritto di regolamentare, l’autonomia sulla propria infrastruttura informativa.
Non siamo più in un campo di alleanze. Siamo in un campo di protezione. Non si tratta più di strategia ma di subordinazione sistemica. E chi tace, chi si mostra cauto, chi consiglia pazienza, chi minimizza, sa benissimo che la posta in gioco è molto più alta di quanto si dica. Sa che stiamo pagando la nostra sicurezza, la nostra reputazione e la nostra indipendenza (nazionale ed europea) con denaro che non ci appartiene più.
Questo è il prezzo del vassallaggio poliico. Il resto è marketing.






