Se l’Italia, sull’altare del sovranismo di lotta e di governo, dovesse denunciare il trattato di cooperazione militare con gli Stati Uniti — in particolare quelli stipulati nel dopoguerra come il Trattato di cooperazione bilaterale per le basi militari (derivato dal più ampio contesto della NATO) — e dichiarare la Sicilia un’area demilitarizzata e denuclearizzata, quali sarebbero le implicazioni geopolitiche, militari, economiche e diplomatiche per l’Italia, gli Stati Uniti e la NATO di un modello di neutralità attiva e sovranità militare nazionale, simile all’Austria (che vieta basi militari straniere nel suo territorio) e alla Svizzera (armata ma neutrale, senza partecipazione a blocchi militari)?
Una dichiarazione di autonomia strategica senza precedenti costituirebbe, di sicuro, uno strappo epocale, ridisegnando gli equilibri del Mediterraneo. Il mondo saprebbe che la Sicilia non è solo la terra di don Vito Corleone, ma il perno dell’apparato militare USA e NATO nel Mediterraneo grazie alle installazioni militari straniere, armi nucleari e sistemi di telecomunicazione bellica.
Qualsiasi attività militare o transito di armi nucleari sul suolo siciliano sarebbe formalmente vietata. Con l’uscita della Sicilia dal dispositivo atlantico, gli Stati Uniti perdono il loro principale avamposto militare nel cuore del Mediterraneo, punto d’appoggio per le missioni in Medio Oriente, Africa e nel teatro ucraino. Gli USA sono obbligati a abbandonare Sigonella, la principale base aeronavale in Sicilia, “la portaerei più importante nel Mediterraneo”; a disattivare o trasferire la stazione MUOS di Niscemi, nodo cruciale per le telecomunicazioni militari globali, nevralgico per il controllo globale dei droni americani e delle comunicazioni interforze, e a rinunciare agli approdi nei porti di Augusta, Catania e altre installazioni logistiche per le navi e sottomarini statunitensi.
Nell’immediato, la decisione provocherebbe alla Casa Bianca “sconcerto e indignazione”, e verrebbe giudicata “una grave violazione del vincolo di solidarietà atlantica” . Reazione paradossale in considerazione delle ripetute volontà di abbandono dell’Europa al suo destino politico e militare. A Palazzo Chigi, la premier sovranista, la rivendicherebbe come una scelta patriottica coerente ed “un atto di dignità nazionale”, che restituirebbe ai cittadini siciliani la sovranità sulla propria terra e risponderebbe agli insulti ed alle ripetute minacce commerciali provenienti dalla Casa Bianca di Donald Trump, ed a una condizione di sudditanza a causa della quale “per troppi decenni, parte del nostro territorio è stato subordinato a logiche militari estranee alla volontà popolare.”
Sui media internazionali la decisione italiana occuperebbe le prime pagine ovunque, sarebbe per tutti “la più audace compiuta da un Paese dell’Alleanza Atlantica dal 1949,” e qualcuno magari osserverebbe che o, seppur limitata alla Sicilia, essa potrebbe segnare l’inizio di una nuova forma di diplomazia mediterranea, fondata sulla non belligeranza attiva e sull’equidistanza strategica. Quanto alla reazione siciliana, difficile prevederla, forse impossibile, non decifrabile. Multipolare, variegata, emozionale: il peggio ed il meglio. La Sicilia, per secoli contesa e strategica, per alcuni tornerebbe al centro del Mediterraneo.
Nessuno naturalmente può prevedere quale sarebbe il prezzo o il guadagno di questa scelta. Ma una cosa è certa: il silenzio dei radar a Sigonella sarebbe più rumoroso di mille sirene di guerra. E la logica della strategia trumpiana, isolazionista e sprezzante, ne uscirebbe trionfante e…perdente.
 
			 
			







