L’Italia, che ha consegnato la sua postura geopolitica a un pio desiderio atlantista, si ritrova ad assistere – impotente e complice – a un teatro di cartone armato con testate nucleari. La nostra “amicizia” con l’America ha il suono sinistro delle valigette del nuclear football: l’Italia è seduta in prima fila, senza biglietto di ritorno, a contemplare il disfacimento dell’impero da cui credeva di trarre protezione.
È il momento di dire le cose come stanno. L’Italia non è alleata dell’America: l’Italia è dipendente dall’America. Lo è nella politica estera, nella difesa, nella retorica, nei sogni e perfino negli incubi. Lo è al punto che, mentre Donald Trump ed Elon Musk si scambiano insulti da guerra civile digitale, gli italiani si domandano se il ruolo accessorio nel teatrino imperiale sia oggi quello del servo muto. Non si tace non per prudenza, ma per sudditanza. Abbiamo smantellato quel che restava della diplomazia autonoma costruita in decenni in Medio Ofiente, dissolto ogni ambizione mediterranea, archiviato ogni tentativo di fare da ponte tra le civiltà. Ci siamo consegnati a Washington, prima per fedeltà atlantica, poi per sudditanza ideologica (sovranista), infine per pura convenienza politica.
Oggi paghiamo il conto, il conto alla rovescia sui dazi è iniziato: lo spettacolo americano – un misto di reality show, incubo distopico e guerra fredda interna – detta la nostra agenda. Se Trump schiocca le dita, saltiamo. Se Musk tweetta, tremiamo. E intanto le nostre decisioni, i nostri documenti ufficiali, i nostri orientamenti internazionali si adeguano, senza mai sollevare un sopracciglio.
Il paradosso è che ci siamo consegnati proprio nel momento in cui l’Impero entra in decomposizione. Non abbiamo scelto l’America delle istituzioni forti, del diritto internazionale, delle alleanze intelligenti, del multilateralismo. Abbiamo scelto l’America delle piattaforme digitali e delle valigette nucleari. Quella che oggi rischia una guerra intestina tra i suoi padroni – guerra che si combatte con licenziamenti, tagli al welfare già asfittico, sabotaggi economici, e dossier costruiti negli scantinati del potere, meme indecenti promossi dalla Casa Bianca(Obama i n manette nello Studio Ovale).
Trump e Musk sono la manifestazione più evidente del caos che ci attende. Uno ha in mano l’hardware, l’altro il software. Uno controlla la macchina militare, l’altro la macchina simbolica. Nessuno dei due risponde a un ordine costituito. E noi, invece di costruire alternative europee, reti di autonomia, nuovi orizzonti diplomatici, continuiamo a giocare al piccolo esercito della Nato, convinti che basti una bandierina a proteggerci dalla tempesta.
È giunto il tempo di una riflessione spietata. Non basta dire “più Europa” come un mantra svuotato. Serve una iniziativa simbolica, culturale, strategica. Serve, paradossalmente, una nuova forma di sovranità, europea: non per chiudersi, ma per respirare. Non per fare da sé, ma per scegliere con chi stare – e soprattutto, perché. La libertà non è una concessione dell’alleato di turno: è una conquista, e va pagata. Anche a costo di restare, per un momento, soli.
 
			 
			







