Cala la ghigliottina di Trump: vino e olio italiani finiscono tra le vittime designate dei nuovi dazi americani. Un colpo secco, che vale centinaia di milioni di euro e mette in ginocchio interi distretti agricoli, dalla Valpolicella alla Sicilia. Ma invece di una risposta politica, di una difesa in sede europea, di un contrattacco commerciale, il governo italiano porta il Paese… a teatro.
E quale teatro, se non il più adatto a inscenare passioni gridate, gelosie di cartapesta e tragedie popolari: il Leoncavallo. Lì, tra arie di verismo e colpi di scena, si recita la parte del sovrano forte, della premier inflessibile, della nazione orgogliosa. La realtà, però, sta fuori dal sipario: bottiglie che diventano invendibili, commesse cancellate, mercati che si chiudono.
I numeri non mentono: l’Italia esporta oltre 6 miliardi di euro di alcolici, di cui quasi 5 miliardi di vino. Gli Stati Uniti sono il cliente principale, con quasi 1 miliardo l’anno solo nei primi cinque mesi del 2025. Ora, però, il rischio è di bruciare un quinto di quel fatturato. Nel frattempo il dollaro debole e le nuove tariffe riducono i margini e minacciano la sopravvivenza di migliaia di cantine medio-piccole.
A Bruxelles, l’Italia non ha ottenuto nulla: nessuna clausola di salvaguardia, nessuna esenzione. A Washington, nessun peso negoziale. Eppure a Roma la scena è un’altra: si agitano spettri, si invoca il patriottismo, si cerca un “nemico interno” da usare come controfigura del vero dramma. È la politica ridotta a opera buffa, con tanto di coro e intermezzi.
Il risultato è che mentre Trump fa cadere la lama sui prodotti simbolo del made in Italy, noi discutiamo d’altro. La Sicilia, che aveva conquistato prestigio e mercati con il vino, torna a chiedersi se valga ancora la pena investire. La Toscana e il Veneto vedono crollare i margini costruiti in decenni. E il governo? Recita.
È la perfetta rappresentazione del nostro tempo:. Tanto fumo, nessun arrosto. E sulla ghigliottina dei dazi, cala il sipario.
 
			 
			







