Giorgia Meloni guarda al Quirinale. Un obiettivo lontano, il 2029, ma che richiede oggi scelte decisive. Il passaggio intermedio sono le politiche del 2027: lì si gioca la vera partita. Con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, il rischio di un Parlamento senza maggioranza è concreto, soprattutto se il centrosinistra riuscisse a presentarsi unito. Sarebbe lo scenario peggiore per la premier, che si troverebbe costretta a fare i conti con governi di emergenza e con un ruolo centrale del Colle.
Per scongiurare questa possibilità, Palazzo Chigi lavora a una riforma radicale: cancellare la quota uninominale e introdurre un premio di maggioranza secco alla coalizione che superi il 40 per cento, purché con un candidato premier dichiarato. Un “ballottaggio implicito” che garantirebbe un vincitore la sera stessa del voto, riducendo drasticamente gli spazi di negoziazione parlamentare.
È una legge pensata per blindare il governo più che per rafforzare il sistema democratico. Un meccanismo che consegna al leader della coalizione vincente una rendita di potere difficilmente contendibile, trasformando il Parlamento in una sede di ratifica più che di confronto.
Il punto politico è chiaro: la maggioranza teme il ritorno dell’incertezza. Ma in democrazia l’incertezza è fisiologica, non una minaccia da neutralizzare con regole di favore. L’idea di eliminare ogni margine di equilibrio parlamentare risponde a esigenze di auto-conservazione.
Per l’opposizione, non c’è alternativa: solo l’unità può impedire che la riscrittura delle regole produca un sistema chiuso, orientato a garantire una sola parte.
 
			 
			







