Il decennio 1979-1980 è una successione incalzante di eventi scanditi da date e nomi. E’ essenziale ricordarli e metterli insieme per farsi un’idea sul clima che si respira in Sicilia, nel Paese e non solo, alla vigilia dell’assassinio di Piersanti Mattarella. Ho potuto ricostruire per quanto possibile i fatti e i loro collegamenti grazie ad un magistrato, Alberto Di Pisa, scomparso il 22 febbraio del 2022. La fonte ricorrente in quegli anni è Tommaso Buscetta, al quale l’autorevole boss Stefano Bontade aveva confidato un incontro con Michele Sindona a Palermo, nel corso del quale il finanziere chiese “uomini armati per una rivoluzione in Sicilia”. La notizia, commentava Giovanni Falcone, “conferma l’originaria tesi di Sindona circa i motivi del suo viaggio in Sicilia e trova riscontro nelle dichiarazioni di Giuseppe Miceli Crimi, il quale ammise di avere accompagnato Sindona negli uffici di Rosario Spatola, dove il finanziere si era incontrato con 7-8 persone tra cui Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo… cui aveva richiesto l’intervento armato della mafia per il suo progetto di golpe separatista ma era riuscito ad ottenere soltanto la promessa di una benevola neutralità.”
“… ci sono aspetti tutt’altro che chiari nella presenza di Sindona in Sicilia”, osserva il magistrato. “La tesi del golpe separatista, vera o falsa che sia, è stata forse troppo affrettatamente liquidata come un falso scopo di Sindona”.
L’altro brano contenuto nel carteggio che il sostituto. Procuratore Alberto Di Pisa mi consegnò faceva parte dell’ordinanza-sentenza dell’Ufficio istruzione di Palermo per il maxi-processo. Uno stralcio, mi pare di capire; o una appendice al gigantesco processo. “Omicidi come quelli di Reina Michele, segretario provinciale della D.C. di Palermo, di Mattarella Piersanti, Presidente della Regione siciliana, di La Torre Pio, Segretario regionale del PCI e, per certi versi, anche di Dalla Chiesa Carlo Alberto, Prefetto di Palermo, sono fondatamente da ritenere di natura mafiosa ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di una organizzazione criminale, anche se del calibro di Cosa nostra”.
Riconobbi nel brano, il linguaggio di Falcone. I sospetti più gravi erano preceduti da una sorta di prologo che ne costituiva il piedistallo, il proscenio, un segnale di attenzione ed un invito alla riflessione. Falcone giudica tremenda la potenza e la pericolosità delle attività illecite mafiose. “… non si è sufficientemente riflettuto e indagato su tanti gravissimi e sconcertanti episodi criminosi che ancora restano avvolti nel mistero e che fanno intuire quali tremendi segreti restino ancora inesplorati”.
Quali tremendi segreti egli ipotizza?
Rilessi più volte i due brani, in sequenza. Ne trassi la convinzione che il primo, di fatto, costituiva una possibile chiave di lettura del secondo. Entrambi si fermavano sulla soglia dell’enigma; il primo, tuttavia, in qualche misura esplicita il sospetto. Il tentativo golpista di Sindona nel ’79 in Sicilia, ci sarebbe stato “sul serio”, ma la mafia, l’aveva scoraggiato. Il golpe non c’era stato, tuttavia erano stati ammazzati i capi del governo e dell’opposizione, alti ufficiali dei carabinieri, funzionari di polizia, magistrati di primo piano… Giusto ciò che avviene in ogni rivoluzione violenta. Non è vero, suooisi perciò, che il golpe fu solo proposto… Esso, di fatto, era stato portato a termine con lucidità e coerenza: uno dopo l’altro erano stati abbattuti i rappresentanti dello Stato democratico, gli uomini delle istituzioni. Lasciando le cose come stavano. Un piccolo capolavoro, osservai. Ecco perché Falcone definisce mafiosi i delitti politici, ma non riesce ad attribuirli ai “bisogni” di Cosa nostra. Ecco perché il giornalista del. quotidiano L’Ora, Mauro De Mauro, scrive nel suo appunto: colpo di Stato continuato.
Giudicai, perciò, essenziale capire ciò che avvenne nel 1979. Feci un lavoro minuzioso. Ordinai le informazioni secondo una successione cronologica: una operazione elementare, ma essenziale, per ottenere la conoscenza del contesto e seguire i fatti nel loro evolversi. Spesi molto tempo nel ricostruire gli eventi del 1978, essendo persuaso che essi preparassero ciò che avvenne nel 1979 e nel 1980. Credetti di potere spiegare le contraddizioni che avevano lasciato molti sulla soglia dell’enigma… Evitai, in una prima fase del lavoro d’indagine, di entrare nei dettagli. Affidavo alla loro sequenza qualità taumaturgiche. Basta leggere gli eventi in successione con animo sgombro da pregiudizi” mi pensavo.
Il contesto politico, anzitutto. In giugno del 1976 i comunisti avevano ottenuto un consistente successo elettorale. Iniziava la stagione della solidarietà autonomistica; il PCI entrava nella maggioranza a Roma e a Palermo. Negli USA, in novembre del 1976, Jimmy Carter era eletto Presidente. Il confronto fra le due potenze che si spartivano il mondo era aspro. La partita si giocava in ogni contrada del mondo senza esclusione di colpi. L’Italia? Frontiera fra i blocchi, vittima delle scorrerie di entrambi i contendenti.
In luglio del 1977 il comandante della legione dei carabinieri di Messina, Mario Giansante, fu ucciso da un colpo di pistola partito accidentalmente mentre puliva l’arma. Nessun sospetto, dapprima. Successivamente, una voce: il colonnello si è suicidato per amore. Possibile, ma non attendibile. Il 12 agosto dello stesso anno, l’episodio si ripete: il generale Antonio Anzà perde la vita mentre pulisce la sua pistola. E subito dopo si affaccia anche per lui l’ipotesi del suicidio per amore. Gli alti ufficiali sono tutti maldestri? Sono amanti appassionati e fragili? Anzà sarebbe stato il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri se non fosse incappato in quell’incidente. Otto giorni dopo, la mafia uccide il colonnello dei Carabinieri Ninni Russo. Il 20 agosto, poche ore dopo il delitto Russo, un camion effettua una manovra azzardata e si scontra con l’auto su cui viaggia il colonnello Umberto Bonaventura, ex capo del controspionaggio in Sicilia. Alcuni mesi dopo, precipitano con l’elicottero, il comandante generale dell’Arma ed il comandante della Regione Militare della Sicilia Enrico Mino.
(continua)
			
			







