Nel cuore pulsante delle democrazie occidentali si sta consumando un paradosso inquietante: la libertà, principio fondante delle società moderne, viene sempre più usata come pretesto per giustificare derive autoritarie. Negli Stati Uniti, il dibattito è incandescente: la retorica della “libertà” è stata piegata a interessi che mirano a scardinare i principi fondamentali della democrazia liberale. E mentre l’America si trova in questa crisi identitaria, l’Europa osserva con preoccupazione, ma al contempo subisce l’onda lunga di questa trasformazione.
La serie televisiva Netflix Zero Day ha reso esplicita questa dicotomia: da un lato chi difende le libertà, senza compromessi; dall’altro, chi le sospenderebbe temporaneamente per rafforzarle, un paradosso che la storia ha già mostrato come preludio alla tirannia. E oggi la realtà ci offre un monito ancora più drammatico: sta vincendo il secondo fronte. L’idea che la libertà possa essere declinata come diritto assoluto di fare ciò che si vuole, senza considerare le regole della convivenza civile, sta minando le istituzioni democratiche.
Negli Stati Uniti, la narrazione di una libertà selettiva ha portato a politiche che sembrano uscite da un manuale di regressione storica: il diritto di cacciare gli immigrati, la negazione del diritto all’aborto, l’attacco alla diversità di genere, la persecuzione dei dipendenti pubblici non allineati, la sfida aperta alla verità scientifica su ambiente e vaccini. A tutto ciò si aggiunge un pericoloso sovvertimento della giustizia: chi viola la legge può essere assolto, se lo fa per “salvare la patria”. E ancora: il rifiuto della separazione dei poteri, il disconoscimento delle istituzioni internazionali, la depredazione economica di Stati vulnerabili e l’uso spregiudicato dei social media per distruggere l’avversario politico.
Non si tratta più di una deriva isolata. L’influenza di questa visione politica sta già contagiando l’Europa. Un segnale inequivocabile è arrivato con il recente sostegno del vicepresidente americano J.D. Vance a un partito di estrema destra tedesco che si richiama esplicitamente al nazismo. L’appoggio di una delle figure chiave della Casa Bianca a un movimento che minaccia i pilastri democratici europei non è solo una provocazione: è un avvertimento. Il contagio del populismo autocratico è ormai globale, e chi fino a pochi anni fa difendeva la democrazia si trova ora a doversi difendere dalla sua lenta e inesorabile erosione.
La storia ci insegna che, quando la libertà viene trasformata in un’arma per giustificare il sopruso, il risultato non è mai maggiore libertà, ma il suo esatto opposto: il dispotismo. La Rivoluzione Francese è degenerata nel Terrore, la Rivoluzione Russa ha prodotto Stalin, le promesse libertarie di tante rivoluzioni sono sfociate in regimi ancora più oppressivi. Oggi assistiamo a un nuovo capitolo di questa tragica dialettica, con il pericolo che, nel nome della libertà, venga imposta una nuova forma di autocrazia.
Il compito delle democrazie europee è chiaro: resistere a questa deriva, riaffermare che la libertà senza giustizia, senza stato di diritto, senza rispetto per la dignità umana, non è libertà ma solo il preludio di un Grande Inganno. Non possiamo permetterci di restare spettatori passivi. Perché, come la storia ci ha insegnato, quando la libertà viene concessa solo ad alcuni e negata agli altri, il passo successivo è la fine della libertà per tutti.
 
			 
			







