La questione dell’uso effettivo dell’arma nucleare rappresenta uno dei dilemmi più inquietanti della politica internazionale contemporanea. Le potenze dotate di arsenali nucleari – Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord – basano gran parte della loro strategia di sicurezza su questi strumenti di deterrenza, la Russia ne ha fatto un poderoso strumento di minaccia nel conflitto con l’Ucraina, ma la loro effettiva utilizzabilità sul campo resta altamente controversa. Analizziamo i fattori chiave che determinano la possibilità concreta di un impiego nucleare.
Il concetto di deterrenza si fonda sulla teoria della distruzione reciproca assicurata (MAD, Mutual Assured Destruction), che ha impedito fino ad oggi un conflitto nucleare tra le grandi potenze. La consapevolezza che un primo attacco scatenerebbe una risposta devastante ha mantenuto un equilibrio precario ma efficace. Tuttavia, la deterrenza è valida solo se tutti gli attori coinvolti agiscono in modo razionale, un presupposto che alcuni eventi storici hanno messo in discussione.
Se durante la Guerra Fredda il rischio di un conflitto nucleare era legato principalmente agli Stati Uniti e all’URSS, oggi la proliferazione nucleare ha moltiplicato gli attori in grado di ricorrere a queste armi. La Corea del Nord, ad esempio, utilizza il suo arsenale come strumento di pressione politica, minacciando il suo utilizzo in caso di attacco. Il rischio maggiore oggi risiede nelle escalation regionali: un conflitto tra India e Pakistan potrebbe teoricamente degenerare in un confronto nucleare limitato, con conseguenze devastanti.
Non tutte le potenze nucleari adottano la stessa dottrina d’impiego. Gli Stati Uniti e la Russia prevedono l’uso nucleare solo come risposta a un attacco di pari entità o in caso di minaccia esistenziale. Al contrario, la dottrina nucleare russa ha introdotto il concetto di “escalate to de-escalate”, che prevede l’uso limitato di armi nucleari tattiche per fermare un’avanzata convenzionale nemica. Questo scenario aumenta il rischio di un conflitto nucleare circoscritto che potrebbe però rapidamente degenerare.
Gli errori di calcolo e i malfunzionamenti tecnici rappresentano una delle minacce più concrete. Durante la Guerra Fredda, numerosi episodi hanno rischiato di scatenare una guerra nucleare per errore, come il celebre caso del colonnello sovietico Stanislav Petrov nel 1983, che evitò un attacco su vasta scala interpretando correttamente un falso allarme. Oggi, con il crescente uso dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi nel settore della difesa, il rischio di errori involontari potrebbe aumentare.
La diplomazia e gli accordi di non proliferazione, come il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), hanno finora contribuito a contenere la diffusione delle armi atomiche. Tuttavia, la crisi della fiducia tra le potenze nucleari, la corsa agli armamenti in Asia e le recenti tensioni tra Russia, NATO e Europa, Cina mettono a dura prova questo equilibrio. Il ritiro unilaterale da trattati chiave, come l’INF Treaty da parte degli USA nel 2019, ha ulteriormente indebolito i meccanismi di controllo degli armamenti.
L’uso dell’arma nucleare, pur restando teoricamente possibile, appare oggi ancora un’ipotesi remota per le potenze maggiori, grazie alla deterrenza reciproca. Tuttavia, il rischio di un impiego nucleare limitato in contesti regionali o a seguito di errori umani e tecnici non può essere escluso. La vera minaccia, più che nel lancio intenzionale di un attacco su larga scala, risiede nella perdita di controllo su queste armi o nella loro eventuale proliferazione a soggetti non statali. In un mondo sempre più instabile, il mantenimento di un equilibrio strategico attraverso il dialogo e la diplomazia rimane l’unica garanzia per evitare il disastro nucleare.
 
			 
			







