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Si salvi chi può/2 Il Puzzone non ritorna, ma c’è di meglio all’orizzonte, il Padrino d’Oltreoceano ed il regime. Che piace a…

01/03/2025
in Articoli
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Il cinismo indurisce i tratti somatici e sigilla le labbra di chi lo adotta. Il ricordo di un triennio di baci e abbracci fra Giorgia Meloni e Zelesky, è troppo presente per essere travolto.

La volubilità interessata colpisce come un macigno anche quando a suggerirla è la realpolitique, il pragmatismo cui affidare il bisogno di farsi perdonare ogni nefandezza. Diventata l’amica geniale di Donald Trump e messi da parte i sentimentalismi (interessati), l’Italia di Giorgia entra a vele spiegate nel mondo luccicante e dorato dell’America post democratica e post atlantista.

Il cambio di passo fin troppo repentino e plateale, nonostante tentativi di mitigarne gli effetti con una sapiente altalena di silenzi, parole masticate e gesti d’insofferenza, ci consegna un personaggio, la Premier, che non passerà alla storia, assai avara verso chi saltella da un banco all’altro alla ricerca della postura più utile.

Zelensky è stato trattato a pesci in faccia in diretta tv planetaria:  sbeffeggiato per il suo abbigliamento, invitato a tornarsene a casa, accompagnato alla porta con l’accusa di stare provocando la terza guerra mondiale, gli sono state richieste di scuse pubbliche per non avere messo nero su bianco sulla consegna dei patrimoni ucraini.

 

Zelensky potrà tornare quando è pronto a firmare…l’accordo di pace, cioè la concessione delle terre rare. Putin potrà nel frattempo confidare su un alleato Oltreoceano, perché l’Atlantismo, cui l’America e l’Italia avevano giurato fedeltà fino a qualche giorno fa, non esiste più, e con esso la Nato e tutte le altre organizzazioni internazionali che, al pari della fastidiosa democrazia, mettono il bastone fra le ruote ai padroni del mondo.

L’umiliante colpo di teatro ai danni del capo di un Paese distrutto da una guerra di aggressione, ha fatto il giro del mondo, provocando reazioni stupite e indignate anche laddove ci si attendeva una parsimoniosa solidarietà liturgica.

Giorgia Meloni, tanto generosa di abbracci, è sparita dal radar delle alleanze.  La polarizzazione – della politica e delle coscienze, delle alleanze e degli interessi – non permette funambolismi, questo è un fatto, ma il governo italiano non sembra avere sofferto più di tanto di questa perdita se mettiamo insieme i silenzi della Premier, la dottrina putintrampista del vice presidente del consiglio, Matteo Salvini, e le parole vuote dell’altro Vice, Tajani, parodia patetica di un Don Abbondio decadente. Gli europei, con l’eccezione dell’Italia (silente), corrono ai ripari: si incontreranno a Londra (la Brexit è stata sopravanzata dai fatti) .

Eppure c’erano tutte le ragioni per un sobbalzo di dignità, al di là dei reticolati dettati dalle convenienze e dagli schieramenti. L’Economist scrive che “Donald Trump si muove come un boss della mafia, a mezza via fra Tony Soprano e Le iene di Quentin Tarantino…nell’avvilente faccia a faccia fra il presidente americano, Volodymyr Zelensky è stato umiliato e rimproverato oltre misura con toni che appartengono più al gergo di Vito Corleone e alla sua «offerta che non si può rifiutare» che a quelli di un leader occidentale.”

«Senza le nostre armi avresti perso la guerra in due settimane – ha detto Trump a Zlensky. Il problema è che ti ho dato il potere di essere un duro, non credo che lo saresti senza gli Stati Uniti. Firma l’accordo o noi siamo fuori. E se noi siamo fuori, ve la dovrete vedere da soli con la Russia. Sarà sanguinoso, ma combatterete. Se invece firmi quell’accordo, sarai in una posizione molto migliore. Non hai carte in mano».

Stile mafioso, registra l’Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, che riferisce un post di Trump indirizzato a Zelesky: «Hai mancato di rispetto agli Stati Uniti». E il rispetto fra gli uomini d’onore, è tutto. Come hanno sempre saputo i vari Gambino, John Gotti, Genovese. Guai a non rispettare un boss. “

Troppo per non guardare oltre la siepe, in casa Italia,  rebus sic stantibus.Qualcosa ci dice di non dovere fermarci alla volubilità e alla disaffezione repentina di Giorgia Meloni verso Zelensky e alla concomitante passione per il katerpillar della Casa Bianca. Sullo sfondo, c’è dell’altro: una sorta di richiamo della foresta. Trump sta testando un nuovo regime, che tiene due piedi in una staffa, democrazia e illibelarità: il nuovo regime si fonda su due stelle polari, voto popolare e governo dispotico, populismo e sovranismo. Alla democrazia sono concesse le urne, ma non altro. Il tempo del governo, senza lacci e lacciuoli – regole, norme, leggi, diritti – non gli appartiene, perché il popolo sovrano ha scelto. Solo che il governo “sbilanciato”, che accentra tutti i poteri su di sé, che crea il piedistallo dell’inamovibilità, sinonimo di autocrazia, dittatura, tirannia.

Il fascismo, erede di sua eccellenza Benito, non può ritornare, ma una sua rappresentazione, sostenuta dai nuovi plutocrati, possessori di beni materiali, dati sensibili e di intelligenze artificiali e algoritmi neuronali, è sotto i nostri occhi nel Paese che è stato un faro della democrazia liberale e che oggi sembra godere di una totale adesione del governo italiano in carica.  L’invocazione sorridente, arridateci il Puzzone, è stata archiviata, nessuno sogna Benito, ma il suo fantasma arriva al risveglio, accendendo la radio, la tv o il cellulare.

 

 

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Tags: benitofascismoforestagambinoGenoveseGiorgia Melonimafiosopuzzonequentin tarantinoregimerichiamotony sopranotrumpzelesky

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