Sull’esito dell’incontro bilaterale fra il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Giorgia Meloni, si esercitano politologi ed analisti; con l’avvicinarsi della fatidica data, il 17 aprile, le loro previsioni acquistano la nobiltà di profezie, perché la posta in palio è assai rilevante e può segnare il destino politico della Premier italiana. La profezia, nella norma, predice un fenomeno più grande di una previsione, ad esempio la fine del mondo, la morte di un monarca, l’ascesa di un eroe eccetera. L’esperienza le competenze, le osservazioni danno credito alle previsioni; la preveggenza, l’ispirazione, la saggezza metafisica legittimano le profezie. Basta la posta alta della Premier a giustificare il fatto che gli analisti dei fenomeni politici ed economici abbiano ricevuto il suggello degli indovini, dei veggenti, dei saggi preconizzatori di un evento epocale?
C’è dell’altro, naturalmente: la straordinaria imprevedibilità dell’evento, il suo carattere irrituale ed insieme rituale, la rilevanza del risultato, come test della inflessibilità di uno dei protagonisti, Trump, che ha sfidato il mondo intero, aprendo una guerra commerciale planetaria senza precedenti..
Governanti ed economisti credono che gli annunci e le volontà di Trump debbano ancora essere testati, potrebbero essere armi di dissuasione, strumenti utili ad intimorire ed asservire i destinatari delle misure protezionistiche.
Forse c’è di più, e per entrare dentro questo “altro” che ci sfugge dobbiamo uscire dal seminato. Su questo 17 aprile si stagliano scenari orribili, generati da mondi di cartapesta, nei quali gli uomini, abbandonati grandi sogni e illusioni, si ritrovano squallidi, vuoti, invidiosi e crudeli: sovviene il giorno della locusta, profetico capolavoro della letteratura americana, scritto da Nathanael West, nel quale una locusta tra milioni di locuste possono calpestare tutto, sogni, futuro, bambini, alberi.
Ma restiamo con i piedi per terra. Prendiamo atto che il mood del Presidente USA abbia abrogato le liturgie diplomatiche, il galateo delle relazioni internazionali, umili gli ospiti, rompa i vincoli di alleanza o tradizionale amicizia, che Trump abbia istaurato negli Usa una sorta di delenda Carthago contro la società liberale, laica e inclusiva, contro le istituzioni democratiche e avviato deportazioni, invece che iniorridire sembra non contare niente sulla profilazione di religione trumpiana senza anima e libertà. Se dovessimo dare retta a quel vecchio detto – dimmi con chi vai e ti dirò chi sei – avremmo molte ragioni per stare in aambasce.
Potremmo usare una metafora sul 17 aprile: Davide contro Golia, se si trattasse di un duello; o quella di Enrico IV, scomunicato, a Canossa in atto di pentimento, se il Presidente del Consiglio italiano avesse arrecato offesa al padrone di casa, ma non è così: Giorgia Meloni si è schierata, anima e corpo, dalla sua parte; la sua story telling di amica fedele è esemplare: giudizi entusiastici, non una parola ambigua, né gesti sconvenienti, anzi: ha cercato di rappresentarsi agli occhi del Presidente USA un sodale affidabile, leale, determinato, anche al costo di alienarsi la fiducia della sua gente.
Profezia o previsione, dunque, chi rischia di più è proprio lei, Giorgia Meloni, perché deve giustificare agli italiani di avere scelto un amico indifendibile che non guarda in faccia nessuno: il rapporto privilegiato, che l’alleanza ideologica (il sovranismo, l’area di destra), l’amicizia personale non contano niente. First America.
Proviamo ad analizzare gli elementi essenziali di questo 17 aprile “storico”, ma affatto esaustivo: il clima in cui si svolge l’incontro, il ruolo che la Primier si ritaglia, le proposte che farà sui dazi (Italia, Europa), il risultato stimabile, l’exit strategy.
Il clima risente di un evento che precede l’incontro, l’entrata in vigore dei controdazi europei. L’Italia avrebbe voluto che la Commissione europea li varasse alla fine del mese, ma l’Unione ha creduto che si dovesse rispondere alle decisioni unilaterali americani in tempi brevi, pur annunciando una sorta di escalation nel corso dell’anno.
I dazi di Trump, inoltre, hanno già prodotto le prime conseguenze sull’export italiano, perché si è registrata una diminuzione degli ordinativi, e le Borse hanno subito un tonfo storico. Una indagine demoscopica ha esplorato gli umori degli italiani, per il 73 per cento Trump è inviso. La Premier sa che le viene addebitano di avere scommesso sulla persona sbagliata. Come hai fatto a non capire con chi avevi a che fare?
Altre questioni: la postura politica, il ruolo, le parole giuste, i contenuti del negoziato. Non ha un mandato europeo, ma non può farsi gli affari suoi (italiani), perché il commercio è materia esclusiva dell’Unione, non sua. Il suo Ministro, Foti, l’ha preceduta con una espressione che non è certo piaciuta alla Presidente della Commissione, Ursula von Derleyen (“Meloni va a Washington da leader di un’Europa che non ha leader”), e dalle invettive del suo Vice, Matteo Salvini, verso l’UE, tmentre sventola la bandiera Stelle e Strisce. L’obiettivo di sfasciare l’UE del resto non è mai stato nascosto da Trump, persuaso com’è che essa sia nata per “fottere” gli Stati. Uniti.
La Premier è stata preceduta alla Casa Bianca da altri leader europei (Macron, Starmer, i baltici) e dall’umiliante trattamento riservato a Velensky, e da un ignobile comizio trumpiano durante una cena (“…sono tutti in fila, pronti a baciarmi il culo”, letteralmente). Non. sarà come fare un bagno in piscina, insomma. Bisogna necessariamente credere che l’incontro sia stato già preparato dagli sherpa in modo da non. provocare guai, ma Trump è un istintivo e la pianificazione non fa parte del suo modus vivendi.
La proposta della Premier, per quanto è emerso finora, sarebbe quella di un taglio totale dei dazi su entrambe le sponde, piena libertà al mercato . Zero dazi, dunque. Previsione da scartare. Ciò he potrebbe ottenere Meloni è un cadeau all’Italia, che assomiglierebbe più ad una polpetta avvelenata che ad un grazioso dono sull’altare dell’alleanza sovranista per i suoi effetti negativi sugli esclusi. La Premier potrebbe piuttosto. puntare sull’apertura di un negoziato, finora di fatto negato, all’Unione Europea, che Trump non vuole “legittimare” come controparte nella sua guerra commerciale.
L’exit strategy nell’ipotesi che esca dal bilaterale con le mani vuote o quasi vuote c’è, di sicuro: far pagare la guerra commerciale dell’amico americano all’Europa, l’ombrello europeo, insomma, attraverso lo storno dei fondi del Pnrr destinati alla coesione (welfare) verso le industrie italiane colpite dai dazi, la fine della transizione energetica, green deal, avviato dall’EU.
Cambiare bersaglio tuttavia non è agevole extra moenia. I tedeschi ed i francesi, ma non solo loro, sarebbero nellecondizioni di dimostrare il loro rammarico ad eventuali voltafaccia senza dovere metter in campo alcuna azione di contrasto. I legami commerciali fra Italia e Germania, sono il cuore pulsante dell’Europa. Se il battito si affievolisce, è morte annunciata.








