Il vero test sull’antifascismo che conta oggi è tra gli antifascisti di professione, abilissimi a riconoscere i fascismi del passato, incapaci di combattere i fascismi del presente. Claudio Cerasa, Il Foglio, 24 aprile 2025
“E’ necessario elaborare un “antifascismo dei moderni”? Luigi Manconi, La Repubbblica, 25.4.25
E sui fascismi, che facciamo? Sono due facce della stessa medaglia, non in senso letterale, naturalmente, ma nella loro postura “professionale”: il fascismo e l’antifascismo come “maschera”, abito identitario da indossare alla bisogna.
“Il fascismo è eterno”, diceva Umberto Eco. Ma anche molto creativo.
Oggi non marcia, non canta Giovinezza, non alza il braccio: commenta su Facebook, manda audio di tre minuti nei gruppi di famiglia, vota per il leader anti-sistema mentre glorifica l’ordine.
E l’antifascismo? Resiste. Ma a volte si ritualizza, si autocelebra, si perde tra citazioni scolorite e indignazione intermittente.
Questo non è un trattato. È un prontuario minimo di sopravvivenza culturale. Uno zibaldone da consultare nelle conversazioni al bar, come scaletta da seguire per inchiodare gli amici ai loro errori di valutazione. Dentro troverai fascisti religiosi, digitali, domestici, culturali. Ma anche antifascisti professionali, casuali, autentici. Con una tollerabile punta di veleno e l’arma più temuta dagli autoritari: l’ironia strutturata.
Non è semplice distinguere un fascista oggi, né lo è definire con precisione un antifascista. Il fascismo è un virus mutante, sa come mimetizzarsi, rendersi presentabile, persino beneducato. Il fascismo non ritorna mai nello stesso modo. Per questo, non basta sapere cos’è: bisogna riconoscerlo. bisogna allenarsi a riconoscerlo nella forma che assume oggi. Il termine si è sfilacciato: da categoria politica a timbro identitario, da pratica militante a distintivo da social. Soffermarsi sui comportamenti, i gesti, le ambiguità, le astuzie, le ipocrisie dei “regnanti” è utile, ma non esaustivo. Gli influencer hanno tanti followers, le nicchie social radicalizzano, i politici polarizzano alla ricerca del consenso e dell’identità. Serve fare ordine, partendo dal basso. Non per pigrizia classificatoria, ma per capire — in tempi di revisionismo pop e resistenze da tastiera — chi fa cosa, e perché.
E se ti sembrerà di riconoscerti in una delle schede, niente panico. Ci si può redimere, fino all’ultimo (ricordi Barbabba?)
Il fascista (moderno) va distinto in almeno quattro varianti:
- Politico: chi persegue (più o meno consapevolmente) un progetto di potere autoritario, verticalista, identitario. Spesso camuffato da patriottismo smart.
- Caratteriale: chi manifesta tratti di obbedienza, culto della forza, disprezzo per il dissenso. La variante da ufficio è insospettabile: “Non sono fascista, ma…”.
- Culturale: chi ripropone gerarchie simboliche (razza, genere, nazione), ammantate di tradizione o realismo.
- Sociale: chi normalizza la violenza strutturale, l’umiliazione dell’altro, l’ideologia dell’ordine come bene supremo.
Premessa questa distinzione con le quattro varianti, occorre ora restringere il panorama e, insieme, selezionare le categorie avulse, vistose ma meno frequentate dagli analisti e dai politologi, il cui focus è necessariamente di più ampio respiro. Cominciamo dal “patriarca”.
Il fascista casalingo merita un posto tutto suo — più sottile, più pervasivo, spesso eluso perché troppo vicino. Vive accanto a noi, mangia al nostro stesso tavolo, si racconta con affetto e nostalgia. Non urla, ma èassertivo, sospira e si fa “rispettare”: “Quando c’era lui…”, gli scappa. La sua è una forma di fascismo affettivo: non ideologico, ma genealogico. Non si fonda su testi o programmi, ma su ricordi vaghi e aneddoti de relato, mai smentiti per sudditanza, carisma, legame affettivo. Non ha letto nulla, ma sente che c’era più ordine.
Il fascista di famiglia è una figura che scardina il paradigma buoni/cattivi. Non si combatte con l’invettiva, ma con l’educazione critica e, se possibile, con ironia chirurgica. Il problema? Spesso è più tollerato di un leghista da bar. Perché “in fondo, è sempre stato così”.
Non indossa uniformi, ma camicie ben stirate. Non legge La Civiltà Cattolica, ma conosce a memoria il bollettino delle buone maniere del 1958. Non urla “boia chi molla”, ma applica la disciplina domestica con rigore da caporale. È il gerarca di casa: padre-padrone, nonno revisionista, zio cui “non si può più dire niente”.
Non serve dichiararsi fascisti per agire da tali. Il fascismo, qui, è uno stile di comando, che si adatta ai tempi senza indietreggiare su nulla. I suoi ordini sono mediati dalle buone maniere, proposti come piccoli favori (visto che sei accanto al frigo, prendi il gelato e portamelo…):
- Decisionismo affettivo: “In questa casa ci vuole ordine”.
- Gerarchia conversazionale: parla solo lui. Se parli tu, è interruzione. Se insisti, è maleducazione.
- Egemonia del passato: “Quando c’era Sua Eccellenza…” è la versione soft del Duce, Duce, Duce!.
- Sospetto verso il cambiamento: nuovi pronomi, nuovi lavori, nuove sensibilità — tutto è “roba da gente che non ha niente da fare”.
Il fascista di famiglia è difficilmente attaccabile. Perché “ha fatto tanto”. Perché “è anziano”. Perché “bisogna capirlo”. E proprio in questa immunità relazionale si nasconde la sua forza. È il fascismo senza bandiere, ma con la sedia migliore a tavola.
Il fascista da tastiera (o: l’idiota digitale con il culto dell’odio) non ha più bisogno della piazza: basta un account. E’ il prodotto di un’epoca in cui lo smartphone sostituisce il manganello e l’algoritmo amplifica la voce. Opera a colpi di commenti, meme, GIF, hashtag. Odia tutto, capisce poco, ma scrive sempre. Non legge mai l’articolo, ma ne distrugge il titolo.
Le sue caratteristiche fondamentali:
- Anonimato come scudo: nome falso, avatar minaccioso, bio con bandiera e versetto biblico.
- Cultura da sticker: slogan cucinati male, storpiature pseudo-ironiche, uso compulsivo del caps lock.
- Odio trasversale: migranti, donne, gay, artisti, intellettuali, meridionali, ecologisti — ogni giorno un bersaglio.
- Citazionismo tossico: riabilita fascismi storici con frasi estrapolate, fake news d’epoca, detti latini mai studiati.
È un fascismo performativo, non ha un’ideologia ma un nemico: il mondo che non capisce, gli sta attorno, non lo valorizza. Si sente incompreso, misconosciuto, frustrato Vive di polarizzazione, si nutre di indignazione riflessa. Non costruisce nulla: distrugge. È al tempo stesso prodotto e sintomo della fragilità democratica online. E’ un complottista colto, talvolta raffinato, sempre manicheo. Le sue chat hanno lame affilate, una ghigliottina che taglia teste con spaventosa quotidianità. Produce fake senza sosta e serve i troll con gioia e sprezzo del pericolo.
Silenziare il fascista da tastiera è impossibile. Bisognerebbe disinnescare il sistema che lo applaude, lo premia e lo promuove nei trend. Gli algoritmi lo coltivano, lo alimentano, nutrono, accarezzano. Grazie a lui si espande il mercato digitale, cresce la banca dati e la bilancia pubblicitaria.
Il fascista complottista (o: il dietrologo totale in cerca di dominio narrativo) è una costola del fascista da tastiera. Una figura chiave del nostro tempo: vive nel sospetto, prospera nel discredito, e agisce come amplificatore paranoico. È un derivato digitale del fascista da tastiera, ma ha una struttura narrativa più solida (e pericolosa): non odia solo, interpreta il mondo intero come minaccia. E’ il tipo che “non si fida dei giornali”, “ha fatto le sue ricerche”, “segue fonti alternative” (Telegram, canali anonimi, sedicenti esperti). Crede che Soros, Bill Gates o l’OMS siano i nuovi tiranni da abbattere. Non ha fiducia nella scienza: l’allarme ambientale è una invenzione, i vaccini sono un attacco alle libertà ed una manna delle big Farma. Ne sono morti di più con il vaccino…
Non partecipa a dibattiti: li disintegra. Non cerca il vero: lo rivela. Non chiede prove: le insinua. La sua arma principale è la narrazione alternativa permanente, dove tutto è falso tranne ciò che conforta il suo schema.
Segni distintivi:
- Retorica del “non ve lo dicono”: se un fatto è noto, è finto; se è nascosto, è sicuramente vero.
- Incrocio tra geopolitica e esoterismo: Putin è “l’unico vero leader”, mentre dietro l’ONU si cela il Nuovo Ordine Mondiale.
- Uso compulsivo di parole chiave: Deep State, élite, biolaboratori, reset, pedosatanismo.
- Cultura della sfiducia totale: contro scienza, medicina, scuola, informazione, istituzioni.
Il fascista complottista non è ignorante: è convinto. La sua forza sta nel trasformare ogni contraddizione in conferma del complotto. È una macchina ermeneutica autogenerante.
Il Fascista credente (o: il crocifisso come arma identitaria) invoca Dio, ma solo per difendere sé stesso. Il fascista credente posta immagini della Madonna e Gesù, manda gif con cuori e crocifissi nelle chat familiari, ma appena si parla di accoglienza, fratellanza o multiculturalismo, si indigna: “I musulmani vogliono conquistarci”. Posture di riferimento:
- Cristianesimo da combattimento: non spirituale, ma etnico.
- Iconografia tattica: santini, rosari, reliquie di WhatsApp.
- Odio selettivo: musulmani, migranti, preti progressisti, Papa Francesco (quando parla di migranti).
- Razzismo inconsapevole: “Non sono razzista, ma il Corano dice di ammazzarci tutti” – falso, ovviamente, ma ripetuto con fede.
È un fascismo semi-sacralizzato, dove la religione non redime ma giustifica. Dio è usato come marca di purezza, la fede come frontiera. Nessuna elaborazione teologica, nessun dubbio interiore: solo crociate in formato reel.
(Seguirà entro breve il manualetto esplicativo, prèt à porter, tascabile. Nell’elaborazione del testo ci si è avvalsi del supporto dell’AI)








