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Salvatore Parlagreco
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Nell’era digitale lo scopo è produrre consenso, dipendenza e passività. Non serve possedere le fabbriche

07/04/2025
in Articoli
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Dietro la partita che si gioca in America, davanti ad una platea planetaria che s’interroga sulle reali volontà di Donald Trump, c’è un salto quantico del pensiero cognitivo. Le analisi politiche e ideologiche non possono cogliere il senso della realtà, non sono in grado nemmeno di scavare  trincee di resistenza. Forse nemmeno gli stessi protagonisti odierni della destrutturazione del sistema -Ovunque si trovano, a Washington, nella Silycon Valley,  conoscono appieno il terreno sul quale operano e hanno una perfetta padronanza degli elementi con cui interagiscono. Viviamo l’epoca di capitalismo digitale, una forma quasi perfetta di economia che non ha più bisogno di possedere fabbriche o mezzi materiali, perché il suo obiettivo ultimo è possedere direttamente le menti. Nell’era digitale, infatti, il potere si misura in base alla capacità di catturare, dirigere e manipolare l’attenzione degli utenti. Le piattaforme tecnologiche agiscono come nuovi capitalisti cognitivi, estraendo valore dalla nostra attenzione, dai nostri desideri e dalle nostre interazioni quotidiane.

L’asserzione «non serve più possedere le fabbriche se si possono possedere le menti» dipinge un futuro distopico in cui le persone, trasformate in risorse cognitive, sono continuamente sottoposte a processi di profilazione algoritmica e manipolazione comportamentale. Questo scenario evidenzia la minaccia di una società in cui l’autonomia individuale viene sacrificata sull’altare del profitto algoritmico. L’identità, le idee e perfino la democrazia rischiano di diventare prodotti di una fabbrica virtuale il cui scopo è produrre consenso, dipendenza e passività.

I ritardi di comprensione dei fenomeni sono così gravi da non assicurare il successo a un cambio di postura culturale e tecnologico verso il digitale, ma la necessità di riprendere il filo della storia che ci sorpassa, è senza alternativa. Servono, in altre parole, strumenti di resistenza, vere e proprie trincee digitali capaci di arginare  l’influenza invasiva delle macchine: i padroni dell’era digitale  sono già installati nei luoghi del potere (Usa, Cina) .

Sarà possibile sviluppare strumenti virtuali di “detox” (decontaminazione digitale), realizzare  un sistema cognitivo di  software open-source capace di segnalare e neutralizzare pratiche di profilazione e manipolazione algoritmica, offrendo agli utenti la possibilità di navigare liberamente e consapevolmente?

Le scuole possono introdurre l’alfabetizzazione digitale critica come materia fondamentale, educando i cittadini sin dall’infanzia a comprendere il funzionamento delle piattaforme, riconoscere le tecniche manipolative e difendere la propria autonomia cognitiva. Le direttive del Ministero della Pubblica istruzione in Italia sono lontani anni luce dal mondo digitale, che non. è uso o meno dei device, ma la dipendenza da essi.

 I lgislatori dovrebbero creare normative forti sulla privacy e l’etica digitale, imponendo alle piattaforme una trasparenza totale sui processi di raccolta dati, profilazione e sugli algoritmi che regolano la visibilità dei contenuti.,sostenendo del pari lo sviluppo e l’adozione di tecnologie eticamente orientate, che pongano il benessere umano e sociale sopra la semplice estrazione di valore economico anche attraverso piattaforme decentralizzate, algoritmi trasparenti e sistemi che responsabilizzino i proprietari digitali.

Realizzare queste trincee non significa negare l’importanza dell’innovazione digitale, ma riconoscere la necessità  di proteggere ciò che di più prezioso abbiamo: la libertà delle nostre menti. Solo così si può evitare un futuro distopico e costruire un rapporto sano e consapevole con le tecnologie che dominano la nostra era. Ma abbiamo  gli strumenti e le risorse   per giocare una partita alla pari con i possessori delle macchine digitali, il cui potere è maggiore di quello dei governanti?

Ci sfugge la visione deallà realtà, il problema è questo. E se non ce l’abbiamo, nessuno ce la può dare, omai. A meno che…

 

( L’articolo è stato realizzato attraverso ricerche per le quali mi sono servito dell’intelligenza artificiale, mantenendo…la barra dritta)

 

 

 

 

 

 

 

Nell’era digitale lo scopo è produrre consenso, dipendenza e passività.

 

Dietro la partita che si gioca in America, davanti ad una platea immensa che s’interroga sulle reali volontà di Donald Trump, c’è un salto quantico del capitale. Le analisi politiche e ideologiche    no non possono cogliere il senso della realtà, non sono in grado nemmeno trincee di resistenza. Forse nemmeno gli stessi protagonisti odierni della destrutturazione del sistema conoscono appieno kil terreno sul quale operano e gli elementi con cui interagiscono. Viviamo un’epoca di capitalismo digitale, una forma quasi perfetta di economia che non ha più bisogno di possedere fabbriche o mezzi materiali, perché il suo obiettivo ultimo è possedere direttamente le menti. Nell’era digitale, infatti, il potere si misura in base alla capacità di catturare, dirigere e manipolare l’attenzione degli utenti. Le piattaforme tecnologiche agiscono come nuovi capitalisti cognitivi, estraendo valore dalla nostra attenzione, dai nostri desideri e dalle nostre interazioni quotidiane.

L’asserzione «non serve più possedere le fabbriche se si possono possedere le menti» dipinge un futuro distopico in cui le persone, trasformate in risorse cognitive, sono continuamente sottoposte a processi di profilazione algoritmica e manipolazione comportamentale. Questo scenario evidenzia la minaccia di una società in cui l’autonomia individuale viene sacrificata sull’altare del profitto algoritmico. L’identità, le idee e perfino la democrazia rischiano di diventare prodotti di una fabbrica virtuale il cui scopo è produrre consenso, dipendenza e passività.

I ritardi di comprensione dei fenomeni in sono così gravi da non asicurare il successo a un cambio di postura culturale e tecnologico verso il digitale, ma la necessità di riprendere il filo della storia che ci sorpassa, è senza alternat. Servono, in altre parole, strumenti di resistenza, vere e proprie trincee digitali capaci di argina chi e l’influenza invasiva delle macchine: i padroni dell’era digitale  sono già installati nei luoghi del potere (Usa, Cina) .  Sarà possibile sviluppare strumenti virtuali di “detox” (decontaminazione digitale), realizzare  un sistema cognitivo di  software open-source capace di segnalare e neutralizzare pratiche di profilazione e manipolazione algoritmica, offrendo agli utenti la possibilità di navigare liberamente e consapevolmente

Le scuole dovrebbero introdurre l’alfabetizzazione digitale critica come materia fondamentale, educando i cittadini sin dall’infanzia a comprendere il funzionamento delle piattaforme, riconoscere le tecniche manipolative e difendere la propria autonomia cognitiva.

  I lgislatori dovrebbero creare normative forti sulla privacy e l’etica digitale, imponendo alle piattaforme una trasparenza totale sui processi di raccolta dati, profilazione e sugli algoritmi che regolano la visibilità dei contenuti.,sostenere lo sviluppo e l’adozione di tecnologie eticamente orientate, che pongano il benessere umano e sociale sopra la semplice estrazione di valore economico anche attraverso piattaforme decentralizzate, algoritmi trasparenti e sistemi che responsabilizzino i proprietari digitali.

Realizzare queste trincee non significa negare l’importanza dell’innovazione digitale, ma riconoscere la necessità urgente di proteggere ciò che di più prezioso abbiamo: la libertà delle nostre menti. Solo così si può evitare un futuro distopico e costruire un rapporto sano e consapevole con le tecnologie che dominano la nostra era. Ma siamo siamo fuori tempo?  Abbiamo  gli strumenti e le risorse   per giocare una partita alla pari con i possessori delle macchione digitali, il cui potere è maggiore di quello dei governanti?

 

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Tags: consensodecontaminazione digitaledipendenzapassivitàsilycon valleysistema cognitivo

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