Che nessuno pensi di derubricare il duello Trump-Musk a baruffa chioggiotta fra miliardari impazziti. Non è uno scontro tra egolatrie – è la faglia sismica che squarcia il fondamento stesso della politica. Questo non è solo l’ennesimo parossismo dello “spettacolo” americano: è l’apocalisse dei vecchi ordini, il punto di rottura definitivo tra ciò che chiamavamo governo e ciò che oggi chiamiamo dominio. Qui si confrontano, senza mediazioni e senza legge, il potere reale e il potere virtuale, l’arsenale e l’algoritmo.
E noi? L’Italia, che ha consegnato la sua postura geopolitica a un pio desiderio atlantista o alle ambizioni narcisiste della Premier pontiera, si ritrova ad assistere – impotente e complice – a un teatro di cartone armato di testate nucleari. La nostra “amicizia” con l’America ha il suono sinistro delle valigette del nuclear football: l’Italia è seduta in prima fila, senza biglietto di ritorno, a contemplare il disfacimento dell’impero da cui credeva di trarre protezione.
I più radicali, fra i commentatori della contesa Trump-Musk, evocano le ghigliottine della rivoluzione francese: lame che scendevano lisce come l’olio, tagliando di netto non solo teste, ma illusioni. I padri della patria decapitati dai figli, in nome di una purezza che durava quanto un proclama. Oggi non si tagliano teste, ma reputazioni, conti bancari, imperi digitali. E l’aria riesce comunque a far sentire l’odore di sangue.
I più prudenti si aspettano un regolamento di conti incruento, ma nessuno crede che si possa tornare indietro. Quel che è certo è che la Grande Guerra fra Donald Trump ed Elon Musk lascia cicatrici indelebili. Il presidente degli Stati Uniti ha dato fuoco alla miccia, mettendo in dubbio la sanità mentale dell’ex amico e co-regista ombra della sua cavalcata alla Casa Bianca. Ha ricordato, con puntiglio da inquisitore contabile, che l’America ha versato montagne di dollari nelle casse delle compagnie di Musk.
Musk ha risposto a modo suo: con un sondaggio su X, la nuova agorà dei deliri globali, ha annunciato la nascita del “terzo partito”, “di centro”, cioè del proprio centro, niente a che vedere con il centrismo storico italiano. L’80% dell’immensa platea digitale ha detto sì. L’algoritmo ha parlato. Ma non basta. Musk ha anche insinuato – col sorriso di chi sa e il sarcasmo di chi minaccia – che fra i contatti di Jeffrey Epstein, il guru della pedofilia globale, ci sarebbe proprio lui, il patriarca dell’America profonda. Il dito nella piaga, con un drone puntato sulla carne viva del potere.
A latere di questo scambio al napalm, la vendetta: i fedelissimi di Trump annunciano il boicottaggio delle Tesla acquistate per compiacere l’amico. L’effetto è immediato: le azioni Tesla cadono nel baratro. E Steve Bannon, spettro ideologico e araldo della vendetta sovranista, chiede di studiare i documenti per valutare la possibilità di deportare Musk: “è un sudafricano che danneggia l’America”. Bannon, si sa, il bazooka anti-Musk lo impugnava da anni. Oggi, finalmente, può premere il grilletto.
Il mondo osserva, col fiato sospeso le evoluzioni del game, che si svolge mentre è in corso lo scontro fra i due gladiatori dell’apocalisse. Netanyahu e Putin, seminatori di morte e distruzione in terra d’Oriente, passano in secondo piano, protetti dalla “comprensione” trumpiana e dalle sue priorità (teme più Musk che Putin…). C’è un risvolto che ci richiama a casa nostra: l’Italia di Giorgia Meloni, sospesa tra fedeltà atlantica e panico istituzionale, non sa più a che santo votarsi. La guerra rischia di trascinarci nel baratro delle sue estensioni collaterali.
Trump dispone del potere militare: carri armati, generali, basi, valigette nucleari. Musk ha il potere delle reti: Starlink, X, Neuralink, un impero tecnologico senza confini, immune al diritto internazionale. Semplificando: hardware contro software. Approfondendo: dominio fisico contro dominio virtuale. È lo scontro fra due forme di potere assoluto, di cui noi, vecchi europei, siamo al tempo stesso spettatori e prigionieri.
Ma c’è un punto in comune: entrambi sono fuori da ogni regola, fuori da ogni storia. E proprio per questo, rappresentano il nostro imponderabile futuro.
 
			 
			







