Non passa giorno senza che il governo italiano – con la regia di Palazzo Chigi e il coro della maggioranza parlamentare – non dedichi il proprio tempo e il proprio fiato a descrivere minuziosamente, con tono chirurgico, tutte le malefatte dell’Europa, le sue lentezze, silenzi, impotenza, e gli svantaggi subiti dall’Italia. I burocrati, le regole, i vincoli, le zavorre. Tutto è colpa di Bruxelles. Eppure, curiosamente, nessuna parola – o solo qualche monosillabo svogliato – viene pronunciata su ciò che sta accadendo davvero oltreoceano, negli Stati Uniti d’America, a danno dell’Europa e, perciò, dell’Italia.
Silenzio sul trumpismo che, mentre demolisce le istituzioni internazionali, mina la NATO, spinge per la guerra commerciale e riscrive le regole della democrazia liberale americana secondo i propri impulsi autoritari, continua a godere in Italia di una singolare immunità diplomatica e mediatica. Come se, per convenzione implicita, Donald Trump e i suoi eccessi non dovessero mai essere messi in discussione, soprattutto da chi governa. Come se i dazi non li avesse imposti lui. Come se non fosse lui ad aver definito l’Europa un “nemico peggiore della Cina”. Come se l’assalto al Congresso, le liste di proscrizione interne e l’uso politico della giustizia non fossero accaduti o non riguardassero noi. E quando qualcuno mette il dito sulla piaga, ecco che la difesa d’ufficio si gioca la carta vincente: Trump è stato eletto per fare le cose che ha promesso di fare. Non una parola sulla deriva illiberale, la devastazione degli organismi di cooperazione internazionale, la guerra dei commercia, che storicamente precede ogni guerra armata.
Questa narrazione prevalente – sbilanciata, selettiva, compiacente – serve a costruire un clima di legittimazione indiretta dell’America trumpiana. Ma non solo: serve a indebolire l’Europa non sul piano dei contenuti, ma su quello simbolico e concreto. Si lavora cioè a fiaccare l’identità europea, a ridurla a campo di errori e regolamenti ottusi, senza mai riconoscerne l’eredità democratica e lo spazio di libertà che ancora garantisce. Si gioca così una partita ambigua: mentre si finge ostilità a qualsiasi subordinazione esterna, si pratica in realtà una sottomissione preventiva alla nuova potenza dominante, che si vuole autoritaria, protezionista, e – soprattutto – egemonica.
L’errore dell’Europa non è stato quello di esistere, ma di non aver mai imparato a raccontarsi bene, e di avere mantenuto in piedi le sovranità nazionali (ogni decisione deve essere approvata all’unanimità). E ora paga il prezzo di una narrazione che rovescia la realtà: presenta l’America come modello di energia e decisionismo, e l’Europa come zavorra tecnica e burocratica. Il fatto che la prima stia regredendo verso l’autocrazia, e la seconda tenti ancora di tenere in piedi uno spazio pubblico pluralista e pacificato, welfare e liberi commerci, non conta più.
È così che si prepara l’opinione pubblica ad accettare l’inevitabile: che si debba accettare l’ombrello atlantico, senza condizioni, dominato da un illiberale autocrate che considera l’Europa un ostacolo per la “sua” America. Che si debbano subire i dazi, gli insulti, le prevaricazioni, senza fiatare.
Chi governa dovrebbe parlare chiaro, e dire agli italiani se intende davvero rimanere nello spazio europeo o se preferisce seguire le orme della destra americana che, oggi più che mai, è incompatibile con qualsiasi ordine democratico. Tacere su questo, mentre si moltiplicano gli attacchi all’Unione, non è più solo ambiguità: è una strategia. E porta un nome antico, che conosciamo bene. Si chiama vassallaggio, di fatto un tradimento. Perpetrato…dai patrioti.
 
			 
			







