La nostra scuola bandisce lo smartphone, ma c’è chi l’adotta, insegnando ad usarlo. Con successo Il caso dell’Estonia. Un piccolo Paese, sì, ma capace di grandi visioni, torna in prima pagina su La Stampa, grazie a Mattia Feltri. Mentre il resto d’Europa – Italia in testa – si affanna a bandire lo smartphone dalle aule scolastiche, Tallinn va in direzione ostinata e contraria. Non per trasgressione, ma per lucidità. Ora la Ministra dell’Istruzione estone, Cristina Callas, ha compiuto un altro passo avanti. Da settembre, ogni studente riceverà un account personale per l’accesso all’intelligenza artificiale. Non per subirla, ma per comprenderla, sperimentarla, interrogarla, perfino correggerla. La scuola, sostiene la ministra, deve servire a questo: a introdurre gli strumenti del presente e del futuro, non a censurarli per paura.
È la stessa logica che ha ispirato l’integrazione degli smartphone nella didattica. Callas lo dice con semplicità disarmante: «Non vogliamo escludere gli smartphone dall’apprendimento, perché fanno parte della vita quotidiana». E ancora: «Abbiamo i libri, i quaderni, la penna, ma come possiamo avviare un’alfabetizzazione mediatica se escludiamo i telefoni?». Dove, se non a scuola, si può insegnare a riconoscere un sito affidabile da uno ingannevole? A distinguere una notizia vera da una falsa? A cogliere le opportunità e fronteggiare i pericoli della vita digitale?
In Estonia i docenti sono preparati, innegabile. Ma non da ieri. Già nel 1997 – ventotto anni fa – ogni classe disponeva di un computer e di una connessione a internet. La lungimiranza paga sempre. Oggi, gli studenti estoni primeggiano in Europa in matematica, scienze, discipline creative. Il loro Paese è il più tecnologicamente avanzato del continente. Il 70% del PIL proviene dal digitale. È lo Stato con il maggior numero di start-up per abitante. Si vota via smartphone in trenta secondi. Si pagano le tasse in quattro minuti. Non piacerebbe a molti? Vero, ma la questione è un’altra.







