Lo spettacolo allestito a Sharm el Sheick per celebrare la pace che ancora non c’è (valichi chiusi agli aiuti alimentari, morti ammazzati, esecuzioni in mondovisione di Hamas ecc), è stato preceduto dalla sorprendente passarella organizzata da Donald Trump, durante la quale sono stati presentati i capi di governo e di Stato presenti: prima i “garanti”, Qatar, Turchia, Arabia Saudita, e poi i “testimoni”, cioè leaders europei, tra i quali Giorgia Meloni, unica donna fra gli invitati. Strette di mano, sorrisi e gesti amicali. Le telecamere hanno avuto grandi difficoltà ad inquadrarla, perché le è stata assegnata una poltroncina ai margini della fila, ed il campo largo non è mai privilegiato da qualunque regia televisiva.
Quando è toccato al conduttore dello show, Trump, in un momento diverso, di ricordare i meriti di ognuno degli invitati, obbedendo alla regia del format studiato accuratamente, ha lodato il pugno di ferro, la personalità forte, le qualità diplomatiche, il benessere e la ricchezza del Paese rappresentato. Una sola eccezione, Giorgia Meloni, cui ha riservato un complimento “di genere”: “è bellissima”, ha detto. Non una parola di più. E’ solo una donna, no? La Premier, visibilmente compiaciuta, ha guardato, con deferenza “affettiva” il suo padrino e si è diretta al posto assegnato, ai margini.
Riservare all’adulazione di genere l’apprezzamento, quando si il capo si rivolge ai membri del board, non è affatto consueto; anzi, è giudicata una gaffe, che generalmente suscita polemiche e provoca dissapori. Una ragione c’è: non è gradito che ad una professionista in carriera e di successo non vengano riconosciuti i meriti che le hanno fatto guadagnare stima e considerazione. Si ricordano qualità, competenze, abilità politiche e relazionali, o altro, e non l’aspetto fisico, descritto con un aggettivo iperbolico e con un tono ridanciano.
Ma Trump è Trump. A lui non può essere rimproverato nulla, nemmeno quando nella quotidianità tratta le donne a pesci in faccia, e gli avversari come prossime vittime delle sue vendette. La consegna del silenzio non è mai stata violata. L’episodio di Sham El Sheick perciò è passato inosservato, sull’altare della santa alleanza con il suprematismo americano; avrebbe dovuto essere segnalato invece e rimproverato, magari con ironia. Fosse stato Macron, poniamo, a commettere la gaffe, la Premier ed i suoi alleati ne avrebbero fatto un caso politico, una occasione imperdibile per alimentare contro il suo competitor europeo più pericoloso il suo vittimismo aggressivo e il suo sarcasmo sanguinario.
La festa è finita: a noi telespettatori del grande spettacolo d’Egitto tocca – un paradosso – di sentirci umiliati per conto di chi l’umiliazione non l’ha nemmeno avvertita.
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