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Nelson Mandela processa Elon Musk, l’incubo notturno di Mister X

11/02/2025
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Nella penombra di una notte inquieta, Elon Musk si ritrova in un luogo senza tempo. È un’aula di tribunale spoglia, eppure solenne. Al centro, su un banco di giudice intagliato con scritte di libertà e resistenza, siede Nelson Mandela. Il suo sguardo, severo ma carico di una pacata autorità morale, trapassa l’imprenditore, che per la prima volta nella sua carriera di innovatore e provocatore mediatico si sente a disagio.

Un’aula di tribunale immersa in un’oscurità surreale, illuminata solo da fasci di luce fredda che filtrano da finestre alte e sottili, come occhi che scrutano l’anima dei presenti. Le pareti, di pietra antica e scura, sono percorse da venature profonde, segni del tempo e del peso della storia. L’aria è densa di polvere e di un lieve odore di pergamena ingiallita, evocando memorie di processi lontani.

Al centro, su un trono che è al contempo giudice e simbolo di giustizia ineluttabile, siede Nelson Mandela, il suo volto scolpito dalla luce che cade in diagonale, creando un’aura di severità e saggezza. Le sue mani, forti e ferme, riposano sui braccioli di legno scuro, mentre il suo sguardo penetra lo spazio, fermo su un unico uomo.

Davanti a lui, Elon Musk, visto di spalle, con le spalle rigide e la testa leggermente abbassata. Il suo vestito scuro contrasta con il bagliore tremolante delle candele sparse nell’aula, che gettano ombre irregolari, quasi inquiete. Il pavimento riflette appena la luce, come se volesse inghiottire ogni movimento, ogni esitazione.

Le colonne dell’aula si ergono imponenti, come giganti muti, testimoni di un giudizio più grande del tempo stesso. Un silenzio pesante riempie lo spazio, interrotto solo dal respiro irregolare di Musk e dal battito ritmico del proprio cuore che sembra amplificato nell’eco dell’ambiente. Sulla scrivania di Mandela, una bilancia pende leggermente da un lato, come se il peso della verità fosse troppo grande per mantenere l’equilibrio. Un antico libro di sentenze è aperto davanti a lui, le pagine ingiallite incise da caratteri che sembrano vivere di significati taciuti. L’atmosfera è densa, il tempo si è fermato. L’incubo ha preso forma, ma la sentenza deve ancora essere pronunciata.

“Elon Musk,” inizia Mandela con la sua voce profonda e misurata. “Tu sei nato in Sudafrica, la terra per cui ho sacrificato decenni della mia vita, eppure hai scelto di voltarle le spalle. Ora ti osservo mentre tenti di ridisegnare il mondo non con la giustizia, ma con il caos. Perché?”

Musk si agita sulla sedia, un tic nervoso alla mano destra. “Signor Mandela, io sono solo un uomo di visione. Voglio portare progresso, voglio sfidare il conformismo.”

Mandela inclina la testa, studiandolo. “Progresso? Chiameresti progresso il modo in cui inciti i popoli a rinnegare la memoria storica? Chiameresti progresso il sostenere forze politiche che si richiamano al nazifascismo? La storia non ti ha insegnato nulla?”

Musk ride nervosamente. “Guardiamo i numeri, Nelson. L’economia deve crescere, i governi devono essere efficienti. L’Europa deve tornare a essere forte, senza ancorarsi ai sensi di colpa del passato. Io sono un realista.”

“Un realista?” Mandela scuote la testa. “Realismo sarebbe ignorare il passato per ricadere negli stessi errori? Realismo sarebbe spingere la gente a dimenticare gli orrori che hanno devastato l’umanità? Hai detto ai tedeschi di non vergognarsi della loro storia. Ma sai chi erano gli uomini che pensavano come te? Coloro che volevano riscrivere la realtà per renderla più comoda ai loro interessi. La memoria è l’unico vaccino contro la ripetizione degli orrori. Il Male assoluto.”

Musk si alza, agita le mani, come se volesse chiudere la conversazione. “Ma lei non capisce, io sono qui per l’innovazione, per l’umanità, per portarci su Marte. Gli esseri umani devono espandersi, superare i limiti.”

Mandela lo fissa, impassibile. “E per farlo sei disposto a demolire ogni etica? A manipolare governi, a creare oligarchie digitali, a consegnare il potere economico e tecnologico a un’élite di ricchi, sempre più distante dai bisogni delle persone comuni? Parli di futuro, ma il tuo è un futuro costruito sulle macerie della verità, della giustizia, della dignità umana.”

Musk balbetta. “Io… io non voglio distruggere. Io voglio costruire.”

“Ma che cosa stai costruendo, Elon? Stai consegnando il mondo in mano ad uno Sceriffo, che sta disumanizzando ogni cosa, ” ribatte Mandela, la voce è un soffio che riecheggia nell’aria sospesa dell’incubo. “Un mondo migliore per tutti o solo per pochi? La libertà non è possedere tutto. È garantire a ciascuno la possibilità di vivere con dignità. Volete deportare un popolo, togliergli la terra sotto i piedi, cancellare la storia, deportare due milioni di palestinesi e trasformare la Palestina nella Florida americana nel Mediterraneo. Pensi che ve lo lasceranno fare senza combattere, senza nuovi spargimenti di sangue…E quella minaccia che sarà un inferno, se non accettano! Peggio che un genocidio, ecco quel rischiate di fare. ”

Musk guarda attorno, il sudore gli imperla la fronte. Le pareti dell’aula si dissolvono, la realtà si sfalda. È solo un sogno, cerca di rassicurarsi. Solo un sogno. Ma le parole di Mandela restano, incise come un monito nella sua coscienza. Per quanto tempo?

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Tags: Elon Muskincubonelson mandelaprocesso

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