Sanremo, mon amour. A giudicare dalla prima sventagliata di canzonette, tutte amore e nostalgia, non c’è un welcome migliore per salutare la settimana canora degli italiani, divenuta una pausa dai “cattivi” che incendiano il mondo. Farsi cullare dalle canzonette non è una cura, una breve anestesia dalla quotidianità insolente Ci potrebbe essere dell’altro. Vecchi e giovani italiani magari amano ancora l’amore. L’amore come status, come sogno ad occhi aperti, finestra su ricordi appassiti ma resilienti. Se così non fosse perché mai compositori e parolieri scommetterebbero su un sentimento così snobbato e tradito nel business-game che può cambiare la vita, regalando soldi e fama in un colpo solo: bastano tre minuti, un motivetto orecchiabile e una filastrocca senza pretese, le rime dedicata a chi l’amore l’ha perso, lo vive malamente, lo insegue, l’ha appena raggiunto o lo aspetta da sempre.
Sanremo è un market sei sentimenti, l’amore vende bene, declinato all’antica o no? Ma non ci hanno detto, come un mantra, che l’Italia di “Grazie dei fiori” e Nilla Pizzi è morta e sepolta, nonostante i Maneskin? che il romanticismo ha fatto la muffa, è stato soppiantato dai cuoricini e ha preso campo il bullismo digitale?
La verità è che Sanremo non ha niente a che vedere con la vita reali, di tutti i giorni. E’ solo una settimana bianca senza neve, una tregua, una pacca sulla spalla. Come San Valentino, la festa della mamma, del papà, dei nonni.
Chi vince? Simone Cristicchi, naturalmente. Declina l’amore, ma per papà e mamma, non per l’amante, la fidanzata, la compagna, la moglie, l’amore di gioventù. Un sovversivo, mascherato da buonista.