Nel 2024, l’Italia si presenta con una serie di indicatori economici e sociali che delineano un quadro severo. La fotografia dell’attuale condizione del Paese, tracciata attraverso dati ufficiali e tendenze consolidatesi negli ultimi anni, mostra una società sempre più polarizzata, un sistema economico stagnante e un tessuto sociale vulnerabile.
Il 20% della popolazione italiana percepisce un reddito annuo inferiore ai 12.000 euro. A questa realtà si accompagna un dato ancora più allarmante: un italiano su quattro è oggi a rischio povertà o esclusione sociale. La crescita dell’occupazione, infatti, non ha comportato un miglioramento della qualità del lavoro. I salari restano tra i più bassi del G20, con l’Italia relegata all’8,7° posto su 20 per reddito medio, mentre i contratti precari e la frammentazione lavorativa alimentano l’instabilità.
Nel corso dell’ultimo anno, 193.410 cittadini italiani hanno lasciato il Paese. Il fenomeno coinvolge principalmente la fascia 18–39 anni (93.419 espatri), ma colpisce anche persone tra i 40 e i 61 anni (35.000), evidenziando come non si tratti più solo di una “fuga di cervelli” giovanile, ma di una vera emorragia demografica e produttiva.
Nel 2024 in Italia, riferisce il Corriere della Sera, 13 milioni 525 mila persone sono state a rischio di povertà o esclusione sociale. Il 23,1% della popolazione è stato in una delle tre condizioni fissate dagli indicatori di Europa 2023: a rischio di povertà; in grave deprivazione materiale e sociale; a bassa intensità di lavoro. Quasi tre milioni (2 milioni e 710 mila) le persone in grave privazione materiale e sociale, che significa, secondo gli indicatori, non potersi permettere un pasto adeguato tutti i giorni, non riuscire a pagare le bollette, l’affitto, il mutuo, non poter riscaldare la propria casa. A rischio povertà sono oltre 11 milioni di individui, il 18,9% dei residenti in Italia: hanno un reddito equivalente netto sotto i 12.363 euro.
L’ultimo dato, informa MSN, è arrivato dall’Oil, l’Organizzazione internazionale del lavoro: dal 2008 al 2024 le buste paga dei lavoratori italiani hanno perso l’8,7 per cento del loro potere d’acquisto. Peggio, o quasi, di tutte le altre economie del G20. Siamo finiti in fondo alla classifica. Ma la questione salariale in Italia ha iniziato a dare segnali negativi molto prima, nell’ultimo decennio del Novecento. Da lì in poi i redditi dei lavoratori dipendenti hanno cominciato a ridursi in termini reali. Un’accelerazione nella discesa è arrivata con la recessione provocata dal Covid-19 e poi con la ripresa dell’inflazione nel 2022.
I numeri ci dicono che dal 1991 al 2023 i redditi reali sono scesi del 3,4 per cento contro una media di incremento nei paesi dell’Ocse del 30 per cento.
La produzione industriale ha registrato un calo del 3%, segnale di un rallentamento strutturale, non solo ciclico. Il PIL è sotto pressione, mentre il deficit rimane elevato. L’inflazione, spinta in particolare dall’aumento esponenziale delle bollette energetiche tra il 2022 e il 2023, ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie, con effetti duraturi sulla domanda interna.
Il divario salariale di genere resta drammatico: le donne guadagnano in media il 35% in meno rispetto agli uomini. Questo squilibrio, aggravato dalla scarsa rappresentanza femminile in ruoli dirigenziali e dalla difficoltà nel conciliare vita e lavoro, rappresenta una delle principali falle del sistema occupazionale italiano.
La pressione fiscale è aumentata anche a causa di misure controverse per coprire il deficit. Tuttavia, l’evasione e l’elusione fiscale restano a livelli vertiginosi, minando la tenuta del sistema contributivo e alimentando un senso diffuso di ingiustizia tra i contribuenti regolari.
Il tasso di investimenti pubblici e privati è in calo. L’incertezza normativa, la lentezza della burocrazia e la mancanza di una strategia industriale coordinata scoraggiano sia l’imprenditoria nazionale che quella estera. Senza investimenti, la crescita futura appare compromessa.
L’Italia si trova a un bivio storico. Le tendenze fin qui descritte non rappresentano soltanto anomalie congiunturali, ma esprimono squilibri profondi e persistenti. La risposta a questa crisi latente non potrà venire da misure frammentarie, ma da una revisione complessiva del modello sociale, fiscale, produttivo e culturale.
E’ la fotografia dell’Italia, oggi. Quella che la narrazione governativa non mostra.







