Le liste d’attesa sono il cuore malato della sanità pubblica italiana. Non solo perché condannano milioni di cittadini ad attese inaccettabili per visite specialistiche ed esami diagnostici – 60, 90, 180 giorni per una risonanza o una colonscopia – ma perché dietro questo ingorgo c’è un colossale meccanismo di profitto. Legalizzato, tollerato, incentivato. E ampiamente raccontato nel libro-inchiesta Codice Rosso, scritto da due giornaliste esperte del settore: Simona Ravizza (Corriere della Sera) e Milena Gabanelli (fondatrice di Report, ora editorialista del Corriere).
La fotografia è impietosa: in Italia, oltre 20 milioni di prestazioni sanitarie all’anno non vengono erogate nei tempi previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), secondo l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). Nonostante esista una norma – la cosiddetta “Garanzia dei tempi massimi di attesa” – che impone tempi certi per visite ed esami (30 giorni per visite, 60 per diagnostica), nessuna sanzione è prevista per chi non la rispetta, se non l’obbligo di erogare la prestazione fuori tempo… sempre che il cittadino sappia far valere il suo diritto. Chi può, paga e si rivolge alla sanità privata, spesso in regime di intramoenia (ovvero visite private fatte dai medici pubblici dentro le strutture pubbliche), o nelle cliniche convenzionate. Il tutto con costi elevati e spesso non giustificati.
Le cliniche private, molte delle quali in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), si trovano così a gestire una massa crescente di pazienti “espulsi” dal pubblico. Un flusso che diventa fonte di guadagni enormi. Secondo un report del Centro Studi di Cittadinanzattiva, il 73% degli italiani ha pagato almeno una prestazione sanitaria di tasca propria nell’ultimo anno. La spesa sanitaria privata ha superato nel 2023 i 41 miliardi di euro, di cui oltre 30 miliardi in prestazioni “out of pocket”, ovvero a carico diretto dei cittadini.
Chi ci guadagna? I gruppi della sanità privata, alcuni dei quali notoriamente legati al mondo politico ed editoriale. Il caso più eclatante è quello di Antonio Angelucci, imprenditore della sanità, parlamentare della Lega (ex Forza Italia) e proprietario di un impero editoriale che comprende “Libero” e “Il Giornale” – oggi tra i principali quotidiani di sostegno al governo Meloni. Ma non è il solo. Il gruppo San Donato dei Rotelli (il più grande polo sanitario privato italiano), il gruppo Humanitas della famiglia Rocca (con posizioni anche internazionali), sono protagonisti di una crescita formidabile grazie al mix pubblico-privato.
Il sistema è doppiamente vizioso: i fondi pubblici destinati al SSN vengono progressivamente drenati verso i privati, che erogano prestazioni in regime convenzionato, spesso con priorità e prezzi più favorevoli a chi può pagare. Allo stesso tempo, l’opinione pubblica viene orientata da giornali e media posseduti o influenzati dagli stessi imprenditori della sanità, i quali evitano accuratamente di sollevare il tema delle liste d’attesa come scandalo politico.
Anzi, si punta il dito contro “l’inefficienza pubblica”, auspicando “una maggiore collaborazione con i privati”. Ma questa collaborazione sbilanciata è il cuore del problema, non la sua soluzione. Nel luglio 2024, il governo ha annunciato un piano per abbattere le liste d’attesa con un fondo aggiuntivo di 500 milioni di euro, ma destinato in larga parte a straordinari e prestazioni aggiuntive nelle strutture private convenzionate. Una misura che non tocca le cause strutturali: carenza di personale, blocco delle assunzioni, invecchiamento dei medici, fuga dei giovani sanitari all’estero.
Come ha dichiarato l’economista della salute Gilberto Turati: “Le liste d’attesa non sono un effetto collaterale del sistema, ma un vero e proprio strumento di selezione economica e razionalizzazione occulta. Un cittadino che aspetta è un cittadino che paga.”Il risultato è un SSN che mantiene l’apparenza di universalità, ma nega nei fatti il diritto alla cura. E che prepara, giorno dopo giorno, il terreno per la privatizzazione strisciante. Con la politica che, salvo rare eccezioni, tace o addirittura favorisce. Milena Gabanelli, nel corso del programma La Torre di Babele condotto da Corrado Augias, ha riassunto così:“Se le liste d’attesa sono il motore del sistema, è chiaro che nessuno ha interesse a smantellarle. Troppi ci guadagnano.” Un guadagno fatto sulla pelle dei cittadini, che in un sistema pubblico dovrebbero essere curati in base al bisogno, non al portafoglio.
(Realizzato con il supporto dell’intelligenza artificiale)
Approfondimenti:
– Codice Rosso, di Milena Gabanelli e Simona Ravizza (Solferino, 2024)
– Dati Agenas, Cittadinanzattiva, Istat, Corte dei Conti (2023–2024)






