C’era una volta The second life. Ebbe un successo clamoroso ed un altrettanto tracollo clamoroso. Nacque per corrispondere ad un bisogno forte, sfuggire ad una realtà intollerabile: scontento, frustrazione, cercare nuovi stimoli in una vita parallela a quella reale. Ma Second Life in breve si trasformò in una copia identica alla prima: carrierismo, denaro, tradimenti, cattivi sentimenti. La replica della realtà, nuda e cruda.
La rete sembra costituire ancora oggi, per una ragione o l’altra, l’unica via di fuga, in assenza di alternative e scorciatoie convincenti. La seconda vita è rimasta l’identità online, priva di corpi, percepita come una chance.
Alessandro d’Avenia (Corriere della sera, 31.3.25), sostiene che oggi i ragazzi strutturano l’identità online, cioè privi dei corpi. Vogliono una seconda vita, e la realizzano lontana da sé. Il panorama è fosco. Il cardinale Gianfranco Ravasi, (Il Sole, La Domenica, 30.3.25) scandaglia il profilo di persone provviste di ogni bene materiale, ma del tutto prive di valori ed affetti veri, ricordando Guido Morselli, scrittore e pensatore snobbato in vita (La mia vita è abbastanza provvista del superfluo, ed è così povera di cose essenziali, Diario 1973).
Tuttavia, l’identità digitale, che si affianca e talvolta sostituisce quella reale, rappresenta una delle più incisive trasformazioni antropologiche dell’era digitale. Nata come promessa di libertà, di fuga dalla noia e dalla frustrazione della vita quotidiana, questa “seconda vita” si rivela spesso come una replica amplificata e distorta delle dinamiche più problematiche della società reale.
Il mondo virtuale non è affatto il paradiso, il luogo delle libert; è piuttosto una nicchia presidiata da pochi, un mare in cui nuotano gli squali. L’apparente libertà della dimensione virtuale è illusoria. Scorporata in una realtà pianificata dai dominatori del web, l’identità on line è capace di imporci tutto: azioni, gesti, pensieri, sentimenti, desideri. E’ una cura che affronta la malattia, spegnendo il malato. La seconda vita, insomma, potrebbe assorbire anche la prima vita, giudicandola superflua.
Come rilevato da Alessandro d’Avenia, i giovani oggi tendono a strutturare la propria identità online separandola dalla corporeità, vivendo quindi una dimensione disincarnata, dove l’identità diventa manipolabile, fluida e frammentata. Tale condizione porta a una paradossale perdita di autenticità, rendendo le persone vulnerabili alle influenze esterne degli architetti dell’algoritmo che governano piattaforme e contenuti, orientando scelte e comportamenti.
Il vuoto esistenziale non scompare, rischia di ridurre ulteriormente la già fragile coesistenza con la vita reale. Il mondo virtuale, infatti, non è affatto uno spazio neutro. È governato da centri di potere tecnologico capaci di condizionare profondamente l’esperienza umana. Una struttura gerarchica invisibile che determina cosa è vero e che cosa è falso, desiderabile, moralmente accettabile.
L’alias digitale, creato per sfuggire all’insoddisfazione della quotidianità, può così trasformarsi in una nuova e più pericolosa gabbia. L’individuo, spogliato della sua complessità corporea e affettiva, perde la propria umanità, diventando preda di manipolazioni esterne.
È urgente recuperare un pensiero critico sul significato autentico della libertà umana, per evitare che, nella fragilità estrema, l’essere umano diventi definitivamente “preda degli squali” che dominano il mare digitale.







