A breve distanza dalla spettacolare operazione militare contro i siti nucleari in Iran, protetta da un accordi fra “gentiluomini” con la Russia di Putin a spese dell’Ucraina di Zelensky ( pesci in faccia a Washington), e a pochi giorni dalla visita da mille e una notte in Arabia Saudita, conclusa con la stipula di contratti economici e commerciali dell’ordine di trilioni di dollari e favolosi doni dal Qatar e dai sauditi, Donald Trump subisce una rovinosa iniziativa di Benjamin Netanyahu: l’attacco a Doha e l’uccisione di cinque negoziatori di Hamas impegnati nella trattativa per la tregua a Gaza, su cui il Presidente USA si è speso per “oleare” gli affari con gli alleati arabi (qatarioti e sauditi). Un colpo basso di Bibi, che rischia di far saltare l’affare del secolo appena concluso. L’emiro del Qatar Al-Thani è fuori dalla grazia di…Allah; chiama Trump, non è solo una violazione del diritto internazionale, sostiene, ma un atto di terrorismo di Stato compiuto “personalmente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, un’aggressione codarda”, insopportabile ed inaudita. La reaziomne dei “fratelli” arabi è immediata ed impetuosa. I sauditi sono i più pronti a reagire: cercano di stabilire un rapporto di alleanza con l’unico paese musulmano dotato di armi nucleari, il Pakistan, per pareggiare i rapporti di forza con Israele. Segnale esplicito, è caduta la fiducia, si guarda altrove.
La Casa Bianca capisce di stare correndo un grave rischio: credibilità infranta, business in pericolo. Trump si giustifica: fa sapere di non essere stato messo al corrente dell’attacco, ma non basta. Seduta stante, firma un trattato di protezione, stile Nato, con il Qatar, grazie al quale gli Stati Uniti considerano ogni attacco al Qatar un attacco contro gli Stati Uniti. Qatar e l’Arabia Saudita, con l’ombrello arabo, pretendono la fine dello sterminio israeliano a Gaza. Stavolta Trump deve scegliere fra Netanyahu e gli affari appena conclusi (a nome degli USA e della famiglia). E sceglie di salvare gli affari. In poche ore stila un piano di pace, ventuno punti, messi insieme a favore dell’opinione pubblica, con l’intenzione di ottimizzare la svolta: la tregua si trasforma in una “pace eterna dopo tremila anni”. Si chiudono tutti e due gli occhi, Gaza è un lazzaretto, la tregua è preziosa.
Netanyahu soccombe, non può completare il suo lavoro, il futuro diviene incerto, ma non ha scelta. Un errore imperdonabile credere di potere governare Trump come ha fatto con gli europei, Italia in testa, silenti e obbedienti. Otterrà gli ostaggi, che avrebbe potuto avere se non avesse privilegiato la soluzione finale, il Grande Israele, fortemente richiesta dall’ala messianica, e utile per rinviare i suoi guai giudiziari all’infinito.
I destini di Trump e Netanyahu si separano. Bibi non aveva fatto i conti con il senso degli affari dell’amico americano, i sauditi ed i qatarioti avevano capito invece. I palestinesi guadagnano la tregua, gli israeliani pure. Le mosche cocchiere si proclamano “complici della pace”: altro che “le piazze e le barche della Flottilla, irresponsabili”, abbiamo lavorato nell’ombra. Hanno lasciato fare: né sanzioni, né atti di dissuasione, seppur lievi. E a Gaza si moriva, di fame e di bombe.
Ci vuole la faccia di bronzo, è vero. Ma pensate che indossarla sia un problema?








