Nel suo recente corsivo pubblicato sul Corriere della Sera del 22 settembre 2024, Aldo Grasso offre una riflessione dura e tagliente sul comportamento degli italiani riguardo al voto degli europarlamentari italiani sull’uso delle armi concesse all’Ucraina. Gli italiani sarebbero “guerrieri con le armi degli altri, pacifisti sulla pelle degli altri”, a conferma della diffusa tendenza a “salvare la faccia” senza affrontare le conseguenze delle proprie azioni.
Grasso descrive l’Italia come una nazione caratterizzata da ipocrisia, incapace di prendersi la responsabilità delle proprie scelte. Il voto sugli aiuti militari all’Ucraina, tematica centrale in Europa e nel mondo, avrebbe messo in luce non solo un atteggiamento evasivo, ma una vera e propria fuga dalle responsabilità. La decisione di appoggiare l’Ucraina, secondo Grasso, sarebbe stata presa più per convenienza che per convinzione, con la speranza che “meglio non vedere, non sentire, non parlare” se quelle stesse armi verranno effettivamente usate. Un modo per mantenere un’apparenza di partecipazione senza pagare il prezzo delle decisioni.
Il giudizio di Grasso, seppur tagliente, solleva una domanda cruciale: l’etica della responsabilità è davvero misconosciuta dagli italiani? Guardando alla storia recente e all’attualità, l’impressione è che l’Italia, come nazione, abbia spesso preferito posizioni ambigue, cercando di non prendere parte in modo netto a questioni globali. Questo però non significa necessariamente codardia, ma potrebbe riflettere una cultura del compromesso che, in alcuni casi, degenera in un atteggiamento rinunciatario e ipocrita.
Storicamente, la politica estera italiana è stata caratterizzata da un atteggiamento prudente, talvolta definito “attendista”. Ma potrebbe essere un eufemismo secondo storici e politologi attendibili. Durante la Guerra Fredda, l’Italia ha saputo navigare tra i blocchi, mantenendo una certa autonomia, ma non ha mai voluto farsi carico di decisioni definitive. Anche in ambito europeo, l’Italia ha spesso svolto il ruolo di mediatore piuttosto che di attore risoluto. Questa propensione al compromesso, che in contesti di mediazione può risultare virtuosa, diventa problematica quando si tratta di affrontare le questioni etiche fondamentali, come l’uso della forza o il sostegno a paesi in guerra.
Nella vicenda dell’Ucraina, il dilemma si pone in modo netto. Sostenere militarmente Kiev significa assumersi la responsabilità delle conseguenze che ne derivano, comprese le vittime civili e le devastazioni del conflitto. Non farlo, però, implica accettare che un paese sovrano venga invaso senza una reazione concreta. L’ambiguità italiana su questo tema, a detta di Grasso, si traduce in una sorta di “lavarsi le mani” dalla responsabilità morale.
L’analisi di Grasso solleva inevitabilmente, un interrogativo più profondo: esiste in Italia una cultura dell’etica della responsabilità? Max Weber, nel suo famoso saggio sulla “politica come professione”, distingue tra un’etica delle convinzioni, che spinge a prendere decisioni basate sui principi, e un’etica della responsabilità, che tiene conto delle conseguenze delle proprie azioni. Gli italiani, secondo Grasso, sembrano mancare di entrambe, muovendosi più per opportunismo che per principio o responsabilità.
Questa assenza di responsabilità è visibile non solo nella politica estera, ma anche in ambiti più domestici, come la gestione delle crisi economiche, il rispetto delle regole civiche, e l’attenzione alla corruzione. Ogni qualvolta emergono sfide che richiedono decisioni difficili, la risposta sembra spesso essere una fuga dalle proprie responsabilità. Il risultato è una società che, come denuncia Grasso, ha “nulla da dire”, perché incapace di sostenere un discorso pubblico coerente basato su scelte consapevoli.
E’ utile dunque porsi un quesito basico: cosa significa davvero “responsabilità” nel contesto italiano? La parola, nel suo senso etimologico, richiama l’idea di “rispondere” alle proprie azioni. Prendersi la responsabilità significa accettare non solo gli onori ma anche gli oneri delle proprie scelte, affrontando le conseguenze che ne derivano. In Italia il dibattito pubblico sembra spesso dominato da una ricerca costante del capro espiatorio, dalla delega delle decisioni a terzi, o dalla deresponsabilizzazione collettiva. È sufficiente pensare alla tendenza a scaricare le colpe sulle istituzioni europee, o alla retorica politica interna che gioca sul “noi contro di loro”, invece di affrontare direttamente i problemi.
L’etica della responsabilità richiederebbe invece una capacità di autoanalisi e di ammissione degli errori che, purtroppo, sembra mancare nel contesto politico e sociale italiano. In questo senso, la critica di Grasso colpisce nel segno: eludere la fatica delle proprie responsabilità porta a un vuoto etico, a una progressiva incapacità di esprimere una visione morale o politica coerente.
La questione sollevata da Grasso non riguarda soltanto il presente ma anche il futuro dell’Italia come nazione. Se la classe politica e la società civile non riescono a confrontarsi con il peso delle proprie decisioni, il rischio è un lento declino non solo politico ma anche morale. La riflessione di Grasso deve essere intesa non solo come una condanna, ma come una chiamata a un risveglio morale. Riconoscere le proprie mancanze è il primo passo per correggerle. Perché un’Italia che evade le proprie responsabilità è un’Italia che rinuncia al proprio ruolo nel mondo e alla propria integrità morale.
Ha dunque ragione Aldo Grasso? Sì, in gran parte. La sua analisi mette a nudo una debolezza radicata nel tessuto politico e sociale italiano, una tendenza a sfuggire alle scelte difficili e a delegare ad altri il peso delle proprie decisioni. Riconoscere questa debolezza è anche il primo passo verso il cambiamento. L’etica della responsabilità non è un fardello, ma una virtù che può e deve essere recuperata, per dare all’Italia una voce chiara e coerente nelle sfide globali.