Se ci sono voluti quasi 30 anni perché Internet avesse 6 miliardi di utenti, all’AI sono bastati soli cinque anni per arrivare al traguardo di 4 miliardi di utenti. Oggi quasi 200 milioni di persone dispongono di smartphone dotati di AI e si è appena ai nastri di partenza di una nuova era, ma gli indizi sono chiari: la tecnologia AI modificherà profondamente le nostre relazioni economiche, politiche, sociali, culturali. Come? Una parte del mondo resterà indietro e sarà abitato dai paria, e l’altra guiderà le proprie sorti e quelle dell’umanità? Appare inevitabile, ove non accada qualcosa di nuovo ed allo stato imprevedibile, che i fra i produttori di “intelligenza” e i suoi fruitori si scavi un abisso, e che i primi stiano al timone di ogni scelta, nel bene o nel male, in una competizione senza limiti.
E’ corretta questa visione distopica del futuro? Mi limito a registrare che esiste oggi
una curiosa assonanza fra i tecnofascisti della Silycon Valley, promotori di una oligarchia tecnocratica, e i post fascisti italiani che, dai loro presidi digitali, autentiche caverne digitali, affollano le chat e i social senza alcun pudore né timori, perorando l’avvento di despoti salvifici e pulizie etniche. La democrazia, le libertà individuali e collettive, principi, valori e diritti sono seriamente minacciati?
Il peggio può accadere, è bene farsene una ragione.
La visione distopica può essere giustificata, un divario incolmabile tra i produttori di “intelligenza” e i suoi fruitori, è certamente plausibile, specialmente se si considerano le attuali dinamiche di potere economico. Giganti tecnologici come quelli della Silicon Valley stanno accumulando quantità immense di dati e risorse, posizionandosi come gli unici veri detentori della tecnologia più avanzata. Questo potrebbe portare alla formazione di una nuova oligarchia tecnocratica, dove un ristretto gruppo di persone e aziende guida lo sviluppo dell’AI e ne decide l’utilizzo, mentre il resto del mondo, meno attrezzato tecnologicamente e meno preparato, rimane ai margini.
Se da un lato l’AI ha il potenziale per migliorare la qualità della vita, automatizzando lavori pericolosi o ripetitivi e fornendo strumenti avanzati per la cura della salute e l’educazione, dall’altro lato esiste il rischio che gran parte della popolazione globale non abbia accesso equo a questi benefici. La frattura digitale tra chi ha accesso alle tecnologie di punta e chi ne è escluso potrebbe tradursi in una frattura economica e sociale sempre più ampia.
In questo scenario, la competizione globale potrebbe quindi sfociare in nuove forme di colonizzazione economica e tecnologica, dove i paesi avanzati dettano le regole e quelli arretrati rimangono subordinati a logiche di sfruttamento e dipendenza. La sorveglianza di massa, alimentata da tecnologie AI come il riconoscimento facciale e l’analisi predittiva, potrebbe rafforzare regimi autocratici che utilizzano questi strumenti per mantenere il controllo della popolazione. La Cina, ad esempio, ha già implementato un sistema di “credito sociale” che sfrutta l’AI per monitorare e regolare i comportamenti dei cittadini.
Inoltre, l’uso dell’AI da parte di attori politici per manipolare l’opinione pubblica attraverso i social media, alimentando disinformazione e polarizzazione, rappresenta una minaccia concreta alla democrazia. I “tecnofascisti” che menzioni, ovvero coloro che utilizzano la tecnologia per promuovere ideologie autoritarie, stanno già sfruttando queste piattaforme per influenzare le masse e sostenere l’avvento di figure autoritarie. In questo contesto, il rischio è che la democrazia, intesa come sistema fondato sulla partecipazione e sui diritti individuali, venga erosa, lasciando spazio a governi che utilizzano l’AI per consolidare il potere e reprimere le opposizioni. Rischiamo di trovarci in un mondo diviso, dove la tecnologia, anziché emancipare, diventa uno strumento di oppressione e controllo