“La strategia ha il fine di allineare ambizioni senza limiti a risorse parziali per necessità”.. Gianni Riotta su La Repubblica (24.9.24), cita John Lewis Gaddis,(On Grand strategy, Mondadori) nell’incipit di un dossier dedicato ai conflitti in atto: Israele ed Hamas, Ucraina e Russia. “Ogni leader deve risolvere l’equazione”, chiosa Riotta, fra obiettivi ambiziosi e risultati modesti.
Il concetto di strategia, come evidenziato da Gianni Riotta nel suo recente editoriale, appare cruciale alfine di decifrare le dinamiche che oggi governano i conflitti contemporanei, dove le ambizioni sconfinate dei leader si scontrano costantemente con la dura realtà delle risorse limitate. Questo dilemma, splendidamente enunciato da John Lewis Gaddis in On Grand Strategy, risuona con forza in scenari globali che vedono Israele e Hamas, da una parte, e Ucraina e Russia, dall’altra, come principali protagonisti di equilibri fragili, intrappolati tra obiettivi di portata epocale e strumenti spesso inadeguati a realizzarli.
Ogni leader, come suggerisce Riotta, è chiamato a “risolvere l’equazione” che lega la magniloquenza delle promesse alla modesta capacità di azione. Tuttavia, ciò che risulta evidente in questi conflitti è un comune denominatore: la tensione tra visioni grandiose e mezzi modesti. Israele, con la sua macchina militare potente ma circondata da inimicizie geopolitiche difficilmente risolvibili; Hamas, intrappolato in una guerra di logoramento dove le sue aspirazioni radicali devono fare i conti con una realtà di isolamento e impoverimento. Similmente, l’Ucraina, sostenuta da un Occidente solidale ma mai completamente unito, continua a subire le devastazioni di una Russia che, sebbene debole rispetto alla propria narrazione imperiale, persiste in una guerra di lunga durata senza prospettive chiare di vittoria o sconfitta.
Questi conflitti ci portano a riflettere su un paradosso antico: la strategia non è solo la ricerca dell’efficacia immediata, ma anche un delicato gioco di adattamento e compromesso. Da Sun Tzu a Carl von Clausewitz, i più grandi teorici della guerra hanno sottolineato come la dimensione strategica consista in una complessa relazione tra fini e mezzi. Eppure, osserviamo oggi leader e governi che sembrano dimenticare questa lezione millenaria, spingendosi sempre più verso narrazioni trionfalistiche che contrastano con la realtà tangibile.
Si pensi al caso di Israele e Hamas. Da un lato, Israele si pone come una potenza inespugnabile, ma questa percezione di invulnerabilità è costantemente messa alla prova da una resistenza che, per quanto asimmetrica, non può essere soffocata con la sola forza. La determinazione di Hamas, dall’altro lato, non è sufficiente a controbilanciare il divario tecnologico e militare, creando una spirale di violenza che sembra non avere fine. In questo contesto, le promesse di vittoria su entrambi i fronti appaiono sempre più come eco vuote di un’ambizione che si infrange contro i limiti della realtà.
Analogamente, in Ucraina, il presidente Zelensky si trova a dover navigare tra l’eroismo della resistenza e la cruda realtà di una guerra che prosciuga risorse e vite umane. Mentre gli aiuti occidentali forniscono un sostegno vitale, essi non bastano a colmare il divario tra gli obiettivi dichiarati di recuperare ogni palmo di terra e la capacità effettiva di ottenere tali risultati sul campo. Dall’altro lato, la Russia di Putin, pur ridimensionata nei suoi sogni imperiali, persiste nella sua strategia del logoramento, incapace di realizzare l’ampia conquista che aveva forse originariamente immaginato, ma comunque determinata a non cedere.
Cosa ci insegna tutto ciò? La lezione è che la strategia, lungi dall’essere una semplice somma di mezzi e fini, è spesso il racconto di come le limitazioni dei mezzi costringano i leader a rimodellare i propri obiettivi. La grandezza di un leader non si misura solo dalla capacità di sognare in grande, ma dalla sua abilità di riconoscere quando è necessario ridimensionare tali sogni per adattarsi alla realtà. Troppo spesso, però, vediamo che tale consapevolezza manca, sostituita da promesse roboanti che, se non accompagnate da una chiara valutazione delle risorse, rischiano di trascinare interi popoli in tragedie senza via d’uscita.
In conclusione, è evidente che la vera arte della strategia risiede nella capacità di bilanciare ambizione e modestia. Il grande leader è colui che, come un esperto navigatore, sa maneggiare il timone con destrezza, evitando i pericoli delle tempeste che inevitabilmente si presentano quando si osa sfidare i limiti delle proprie risorse. Israele, Hamas, Russia e Ucraina sono, a loro modo, testimonianza di come l’equilibrio tra sogni e mezzi sia l’essenza stessa della sopravvivenza politica e strategica.
Una cosa è certa: tuti perdono. I morti non verranno dimenticati, l’aura di nnobiltà che la storia assegna ai contendenti ne esce devastata, la coda velenosa è destinata ad allungarsi per molte generazioni. L’ebraismo vittima del Male assoluto assume il volto protervo del dominatore cinico, la legittima aspirazione ella libertà della popolazione palastinese è deturpata (e cancellata) dalla violenza saanguinaria di Hamas. E in Europa, la Russia, patria di cultura e arte immensa, lascia l’impronta dell’invasore sanguinario.