Il voto di condotta mette indietro l’orologio della storia nella scuola italiana: si torna alla punizione “tombale”, in caso di bocciatura con un cinque in condotta, e l’esame autunnale con il sei. La prevenzione non basta più? Gli allievi sono divenuti turbolenti ed occorre usare le maniere forti? Uno schiaffo, insomma, piuttosto che la ramanzina. Ma c’è un convitato di pietra: la famiglia; i casi di genitori che applicano la legge del taglione, la vendetta, sui docenti che hanno giudicato malamente i figlioli, sono spesso sulla cronaca.
E’ possibile che il comportamento genitoriale abbia influito sulle scelte muscolari del governo in carica, e che il provvedimento legislativo approvato dalla maggioranza di centrodestra in Parlamento sia la conferma di una scelta politica di fondo, l’aggravamento delle pene. Low end order, insomma.
Il recente ripristino del voto di condotta nella scuola italiana, con la possibilità di bocciare uno studente per un cinque in condotta, segna indubbiamente un ritorno a un passato educativo che pare allontanarsi dalle teorie pedagogiche più moderne. La misura, già in vigore decenni fa, riflette una concezione della disciplina scolastica fortemente legata al paradigma punitivo, in cui la sanzione ha un valore esemplare e correttivo. Ma si tratta davvero di un ritorno efficace a una gestione autoritaria delle dinamiche scolastiche? O piuttosto di un segno di incapacità nel rispondere alle sfide complesse che oggi caratterizzano la scuola?
Storicamente, il voto di condotta è sempre stato visto come uno strumento di controllo e di gestione del comportamento degli studenti, ma già dagli anni Settanta in poi esso ha iniziato a perdere la sua centralità nelle politiche scolastiche. L’idea di giudicare un individuo non solo per il suo rendimento accademico, ma per il suo comportamento, affonda le radici in una visione della scuola come istituzione educativa e disciplinare. Tuttavia, con la riforma degli anni Duemila, si è cercato di allontanarsi da un’ottica meramente punitiva, promuovendo invece una gestione dei conflitti scolastici che prevedesse la prevenzione, il dialogo e l’educazione al rispetto reciproco.
L’abbandono del voto di condotta come strumento per determinare il destino scolastico di uno studente ha risposto alle esigenze di una scuola in evoluzione, che cercava di allinearsi a un approccio pedagogico moderno. L’idea di educare attraverso la punizione, già criticata da diversi autori e pedagogisti del Novecento come Freinet o Montessori, veniva messa in discussione in favore di strategie educative più comprensive e dialogiche. Il governo di centrodestra, tuttavia, sembra aver optato per una logica repressiva che ha nell’aggravamento delle pene il suo fulcro.
La reintroduzione del voto di condotta e la possibilità di bocciare uno studente per problemi disciplinari sono solo l’ultimo tassello di una serie di provvedimenti che puntano a restituire autorità alle istituzioni, incluse quelle scolastiche, attraverso il ricorso a sanzioni severe. Mi domando se tale approccio possa davvero rispondere alle esigenze della scuola contemporanea. Le aule italiane, come quelle di gran parte del mondo, sono oggi caratterizzate da una pluralità di soggetti che portano con sé sfide complesse, legate non solo ai comportamenti ma anche alle disuguaglianze sociali, alle problematiche psicologiche e al crescente impatto delle nuove tecnologie. A fronte di questo quadro, la prevenzione e l’educazione civica appaiono strumenti molto più efficaci rispetto a una politica basata sulla repressione.
Non si può ignorare il ruolo che le famiglie giocano in questa dinamica. I crescenti episodi di aggressività da parte di genitori nei confronti degli insegnanti dimostrano quanto le relazioni tra scuola e famiglie si siano deteriorate. In alcuni casi, il senso di protezione verso i propri figli ha portato i genitori a sfidare apertamente l’autorità scolastica, trasformando l’alleanza educativa in un conflitto permanente. Questo deterioramento potrebbe aver inciso sulle scelte del governo, che pare voler rispondere più alle richieste di controllo e repressione provenienti da una parte della società che alla necessità di un vero rinnovamento del sistema scolastico. Sarebbe stato auspicabile promuovere una riforma sistemica che affronti le problematiche alla radice – come la formazione degli insegnanti, il supporto psicologico per studenti e docenti, o l’adeguamento della didattica ai tempi moderni – mentre si è optato per un ritorno a forme punitive che rischiano di risultare inefficaci, se non dannose, nel lungo periodo.
La reintroduzione del voto di condotta come strumento di bocciatura è dunque sintomatica di una visione politica che preferisce affrontare i sintomi piuttosto che le cause profonde del disagio scolastico. La scuola italiana si trova oggi a un bivio: da una parte, l’opportunità di rinnovarsi e di diventare uno spazio in cui le nuove generazioni possano crescere ed essere educate alla cittadinanza attiva; dall’altra, il rischio di tornare a una gestione autoritaria e obsoleta dei comportamenti, che non solo non risolve i problemi, ma rischia di acuirli.
La vera sfida è quindi quella di riconoscere la complessità del mondo in cui viviamo, un mondo in cui la varietà di soggetti, culture e tecnologie impone una scuola inclusiva, innovativa e capace di adattarsi ai cambiamenti. C’è il rischio di lasciare indietro un’intera generazione, privandola di strumenti educativi adeguati per affrontare le sfide del futuro.