Il mestiere di giudicare si impara solo se si è abituati a giudicarsi e se questa consuetudine può contare su una abitudine alla complessità, fatta di comparazione e di competenze . Spiegato così, il giudice, sia che operi fra i banchi di scuola o in un’aula giudiziaria, dovrebbe essere necessariamente un grand’uomo. Impossibile, sia nelle aule scolastiche che nelle aule giudiziarie dove il mestiere di giudice lo svolgono in tanti.e i grandi uomini sono pochi. E allora, dovremmo disfarci dei giudici? Sarebbe come eliminare la pietra ad angolo, quella che sorregge tutta la costruzione, lo Stato, che esiste per il fatto che esercita giustizia, ovunque ciò è richiesto, in modo da offrire pari dignità e diritti a tutti i componenti della società.
C’è una strada per uscire da questa paralizzante condizione?
Forse servirebbe spostare il tiro, dal giudice al giudizio. Che cosa pretendiamo da chi esercita questo mestiere? Per rispondere al quesito, dobbiamo abbandonare le aule giudiziarie: ci porterebbe molto lontano a causa delle implicazioni di carattere politico, sociale, giurisprudenziale; occupiamoci della scuola, dove ai docenti è richiesto di essere giudici dei loro alunni oltre che formatori ed educatori.
Non stiamo sfuggendo al problema che ci assilla, il mestiere “impossibile” di giudice, lo stiamo affrontando su un terreno accessibile nella convinzione (o pretesa?) che ragionando sui giudici-docenti si traggano anche suggerimenti utili per coloro che sono chiamati ad esercitare un ruolo (ed un lavoro) così rilevante e denso di significati (morali, culturali, psicologici ecc) e responsabilità.
Nella scuola è stato il giudizio e non i giudici al centro dell’attenzione con risultati altalenanti, contraddittori, in definitiva e, almeno finora, insoddisfacenti. E’ accaduto che si è passati dal voto ai giudizi sintetici, ed ora, a quanto pare, ad una soluzione di compromesso grazie alla quale saranno introdotti giudizi analitici, cui seguiranno giudizi sintetici. Il numero, insomma, non ritorna al centro della scena, cioè del giudizio,, ma è come se ci tornasse, dato che il giudizio sintetico, cioè “sufficiente” per esempio, corrisponde ad un 6 pieno, e il “gravemente insufficiente” ad una gamma di numeri che vanno dal 2 al tre o quattro. Niente di nuovo, anche nelle aule giudiziarie sono cambiate le modalità del processo e le norme per regolare controversie e punire trasgressori, ma è restato il giudice, non il giudizio, il dominus. Le leggi possono contenere regole così particolari da imporre al giudice il verdetto senza una interpretazione individuale del caso? E’ possibile giudicare una persona, qualunque sia la sua età, senza dar conto del suo complicato vissuto quotidiano?
E, tornando alla scuola, un bambino di 6 anni può essere un soggetto di giudizio ? Zaira Salemi, psicologa e psicoterapeuta, sostiene su Elle (27/09/2024) che il giudizio faccia correre un grave rischio, “che il bambino “interiorizzi il voto come strumento di misura, di paragone con gli altri, una sorta di etichetta che li qualifica come bravi o cattivi…Questo aumenta la probabilità che ne abbiano timore, sperimentando vissuti di ansia da prestazione.” E conclude: ’è indispensabile formazione e l’aggiornamento continuo degli insegnanti dal punto di vista didattico, pedagogico e psicologico”.
La questione vera, dunque, è quella da cui rifugiamo per timore di sottrarre all’edificio ciò che lo sorregge, il giudice. La ricetta non l’abbiamo per guarire dalla povertà di soluzioni, ma accogliere l’idea che si possa trovarne una sarebbe un bel passo avanti.