Angoscia e speranza si sfidano, ha detto Papa Francesco nella sua omelia durante la messa celebrata nella Cattedrale di San Pietro e Paolo. a Roma in occasione della giornata mondiale della povertà, evocando una delle antinomie più profonde dell’esperienza umana, in un contesto in cui l’ingiustizia sociale cresce vertiginosamente e il contrasto tra il buio delle sofferenze terrene e la luce di una promessa trascendente diventa particolarmente intenso (lo 0,1 per cento dei cittadini italiani detengono il 4.5% del reddito nazionale). Ma se l’angoscia esistenziale appartiene a ogni individuo, c’è un’angoscia sociale e collettiva che emerge con forza nei contesti di povertà e marginalità. L’angoscia del povero è fatta di precarietà quotidiana, dell’assenza di sicurezza, della privazione di dignità. Essa non è un sentimento astratto, ma una realtà concreta, tangibile, che si manifesta nei volti stanchi, nei corpi segnati, nei silenzi pieni di impotenza. O nelle proteste popolari: lo sciopero generale, accusato di ideologismo e di motivazioni gratuite dal governo in carica.
L’angoscia e la speranza perciò non sono semplicemente due stati d’animo contrapposti, ma due forze archetipiche che attraversano la storia umana, plasmandone il destino. Esse si sfidano nella coscienza di ciascuno e nei grandi movimenti collettivi, dando forma a quella tensione esistenziale che da sempre spinge l’uomo a interrogarsi sul senso della propria esistenza e sul destino del mondo.
L’angoscia, nella prospettiva laica, è la percezione della fragilità dell’essere umano di fronte a un universo spesso indifferente o addirittura ostile. Filosofi come Søren Kierkegaard e Martin Heidegger hanno esplorato questa condizione con profondità. Per Kierkegaard, l’angoscia è il “vertigine della libertà”, sentimento che nasce quando l’individuo si rende conto del peso delle proprie scelte, della propria finitezza e dell’abisso del nulla. Heidegger la vede come il sentimento che svela l’essere-per-la-morte, cioè la consapevolezza della transitorietà della vita.
Eppure, accanto all’angoscia si erge la speranza, forza che non annulla il dolore ma lo attraversa, trasformandolo. Per il cristianesimo, la speranza non è un semplice ottimismo o una vaga attesa di un futuro migliore. È una virtù teologale, una fiducia incrollabile nella promessa di salvezza divina. Essa si radica nella resurrezione di Cristo, che rappresenta il trionfo della vita sulla morte, della luce sulle tenebre.
Ma anche in una prospettiva laica, la speranza è una categoria fondamentale, capace di orientare l’agire umano verso un futuro più giusto e solidale. Ernst Bloch, filosofo marxista, ha teorizzato la speranza come “principio utopico”, una tensione verso ciò che ancora non è ma che potrebbe essere. Essa diventa allora il motore del cambiamento, il lievito che spinge l’umanità a lottare contro le ingiustizie e a costruire nuove possibilità di esistenza.
Papa Francesco, con il suo stile diretto e compassionevole, ci invita a riconoscere questa sfida come il cuore pulsante della nostra epoca. L’angoscia, in un mondo segnato da diseguaglianze crescenti, conflitti armati, crisi ecologiche e migrazioni forzate, rischia di sopraffare la speranza, paralizzando le coscienze e alimentando l’indifferenza. Papa Francesco ha più volte sottolineato che la speranza cristiana non è evasione dalla realtà, ma incarnazione: “Non si può essere cristiani senza speranza, ma non si può avere speranza senza compassione”. Laici e credenti possono trovare un terreno comune nella convinzione che ogni essere umano, indipendentemente dalla propria fede o condizione sociale, ha diritto a una vita dignitosa.
In questo senso, la povertà non è solo una questione economica, ma una ferita morale e spirituale che interpella ciascuno di noi. Lottare contro la povertà significa affermare che la speranza non è un privilegio per pochi, ma una possibilità per tutti.
La sfida tra angoscia e speranza, allora, non è una battaglia persa in partenza. È un dramma aperto, una storia ancora da scrivere, dove il coraggio di guardare in faccia la sofferenza può trasformarsi nella forza per immaginare un futuro diverso.