Chi tocca i fili muore: basta fare un cenno, un sussurro, pronunciare una parola che evochi la patrimoniale per sottoscrivere una condanna a morte (politica). Mette i brividi solo a parlarne nei salotti, caminetti, ascensori, corridoi, bar ecc. Meglio girarsi dall’altra parte per non farsi coinvolgere: la memoria rimanda alle sconfitte elettorali di quanti hanno osato farne oggetto di considerazione nei talk, convegni, seminari, dibattiti parlamentari. Una bestemmia, un tabù che ha attraversato la storia della Repubblica italiana e si è consolidato nel tempo, nonostante la ricchezza degli italiani negli ultimi anni si è sempre più ristretta a pochi, e la fascia della povertà si sia allargata a dismisura. Il Paese si fa mutacico davanti all’ingiustizia sociale.
Per abbattere l’ingiusto divario ed affrontare il fenomeno della povertà, occorre aumentare le opportunità di lavoro, aumentare stipendi e salari rimasti al palo da un decennio, divorati dall’inflazione; occorrono servizi sociali ed assistenza sanitaria, trasporti pubblici a costi accessibili, in definitiva investimenti pubblici, soldi. Ma le casse dello Stato sono esauste, erose dal debito he supera i tremila miliardi. Il cane che si morde la coda? No, il cane rimane sotto il tavolo del padrone senza lamentarsi, in attesa che arrivino i resti del cibo.
Dove trovare i soldi ed a chi chiederli, se il fisco “tartassa”? Così il tabù non viene violato, perché violarlo significa colpire le ricchezze, come impone una fiscalità progressiva, e le ricchezze possiedono anche gli strumenti per proteggersi. La realtà ci racconta che a pagare, sempre e comunque, siano le fasce più debole, coloro che non sfuggono al fisco, perché contribuiscono alla ricchezza del Paese in busta paga, non evadono e non eludono.
Il contesto è chiaro, eppure invocare la patrimoniale resta un a bestemmia. Per quale ragione? Spaventa ricchi e poveri, chi ha un tetto crede di subire nuove imposte. Ma la patrimoniale potrebbe coinvolgere soltanto quello 0,1 per cento di italiani che hanno redditi che superano il milione di euro l’anno. Dovrebbero perciò essere pochi coloro che la temono, tantissimi quelli interessati alla perequazione della ricchezza nazionale, traendone grande vantaggio. Eppure l’avversano gli uni e gli altri. Un mistero? No, una comunicazione sbagliata ed interessata, che favorisce la crescita della ricchezza in poche mani.
Come sfatare il tabù? Far sapere come stanno le cose. Sembra semplice, ma non lo è: le forze politiche e sindacali che per un riequilibrio della ricchezza ed una contribuzione solidale non sono una lobby, una corporazione, un fortino inespugnabile. E c’è chi sostiene che togliere risorse a chi ne ha, in misura ragionevole, provoca un danno maggiore, perché calerebbero gli investimenti privati. Un altro imbroglio. La patrimoniale sugli immobili extralusso e la ricchezza finanziaria non incidono direttamente sull’intrapresa privata, né sugli investimenti pubblici.
La volontà politica non è maggioritaria. Bisogna arrendersi?