L’arresto di uno studente palestinese della Columbia University di New York, Mahmoud Khalil, ci riguarda: non è stato solo un atto di repressione, ma il sintomo di una trasformazione più ampia e inquietante, che può contagiare anche noi (noi Italia, noi Europa): il progressivo soffocamento del dissenso nelle università statunitensi, il tutto giustificato da una narrativa che mescola lotta all’antisemitismo e repressione politica. Israele usa l’antisemitismo per giustificare il massacro dei palestinesi, che subiscono così il cinismo dei terroristi di Hamas e quello del capo del governo Netanihau e della destra religiosa fondamentalista ebraica.
Donald Trump, dal suo secondo insediamento alla Casa Bianca, ha dato avvio a una campagna senza precedenti contro la libertà di espressione nei campus, colpendo in particolare gli attivisti critici nei confronti delle politiche di Israele. Il caso di Khalil è emblematico: arrestato l’8 marzo nel suo appartamento, alla presenza della moglie statunitense incinta, con l’accusa di sostenere Hamas e diffondere sentimenti antisemiti. Parole gravi, ma prive di riscontro giuridico, tanto che l’unico provvedimento formale contro di lui è stato il tentativo di espulsione dal Paese, poi bloccato da un giudice.
Le reazioni non si sono fatte attendere: mentre la Casa Bianca insiste sulla necessità di un pugno di ferro per fermare un presunto antisemitismo dilagante nei campus, molti accademici, politici e attivisti vedono in queste misure una strategia per intimidire il movimento progressista e neutralizzare il dissenso. Alcuni parlamentari democratici hanno paragonato la politica trumpiana a una deriva autoritaria degna degli albori del maccartismo, mentre accademici della Columbia, come il professore di matematica Michael Thaddeus, hanno parlato di un attacco a tenaglia contro l’università, rea di rappresentare un bastione progressista.
L’offensiva di Trump non si limita agli arresti: il governo ha congelato 400 milioni di dollari di finanziamenti federali destinati alla Columbia, accusandola di non aver fatto abbastanza per arginare l’antisemitismo. Un’accusa paradossale, se si considera che la stessa amministrazione universitaria aveva, solo un anno prima, represso duramente le proteste contro la guerra a Gaza, facilitando l’arresto degli studenti e ostacolando organizzazioni come Jewish Voice for Peace e Students for Justice in Palestine.
Ma la campagna va oltre i confini della Columbia. Altre 60 università statunitensi sono sotto inchiesta e potrebbero subire tagli ai finanziamenti per la loro presunta inadeguatezza nella lotta contro l’antisemitismo. Parallelamente, l’amministrazione Trump ha avviato un’indagine su 45 atenei sospettati di attuare discriminazioni nelle ammissioni, un chiaro attacco ai programmi di diversità e inclusione (DEI).
Dietro questa strategia si intravede la mano della Heritage Foundation, think tank conservatore che ha elaborato il Project Esther, un piano per l’espulsione di centinaia di docenti e studenti accusati, senza prove concrete, di avere legami con Hamas. Gruppi filo-israeliani come la Zionist Organization of America e Betar US hanno contribuito a questa operazione, identificando e segnalando all’amministrazione Trump centinaia di nomi di attivisti pro-palestinesi. A questa macchina repressiva si oppongono, tuttavia, voci progressiste del mondo ebraico, come l’organizzazione T’ruah, che ha condannato il piano come pericoloso e moralmente irresponsabile.
L’università di Princeton e altre istituzioni stanno cercando di resistere, ma la pressione politica e finanziaria è schiacciante. Alcuni atenei hanno già eliminato programmi DEI o modificato le proprie politiche per soddisfare le richieste dell’amministrazione. La Columbia, pur tentando una mediazione, si è piegata a parte delle richieste presidenziali, avviando sospensioni ed espulsioni di studenti coinvolti nelle proteste del 2024.
L’arresto di Khalil e la conseguente repressione del dissenso universitario sollevano una questione cruciale: la strumentalizzazione dell’antisemitismo per fini politici. Il sostegno incondizionato degli Stati Uniti a Israele ha portato a una distorsione della memoria storica, trasformando la Shoah in un’arma ideologica per silenziare ogni voce critica nei confronti delle politiche di Tel Aviv. Un’operazione che non solo tradisce la lezione della storia, ma mina alle fondamenta i valori democratici su cui si fondano gli Stati Uniti.
Come ha affermato Thaddeus, questo è il momento del coraggio: di difendere la libertà accademica, la giustizia e il diritto al dissenso. Altrimenti, il prezzo da pagare potrebbe essere la fine stessa dell’università come spazio di pensiero critico e di libertà intellettuale. Non solo Negli USA.