La memoria è una narratrice seducente e pericolosa. Ricorda ciò che vuole, dimentica ciò che non sopporta, riscrive gli eventi con creatività quasi letteraria. È come un regista vanitoso che taglia le scene scomode e lascia soltanto quelle che lo fanno apparire grande. Ma quali sono le forze nascoste che deformano il passato, generando illusioni così potenti da confondere persino chi le ha create?
La prima forza distorcente è il bisogno emotivo. Le emozioni sono il motore della memoria, ma ne sono anche il filtro ingannevole. La paura, il rimorso, l’amore non corrisposto, o anche soltanto il desiderio di una consolazione, operano silenziosamente per produrre ricordi comodi. Come diceva Friedrich Nietzsche: “Benedetti siano gli smemorati, perché avranno la meglio anche sui propri errori”. Così un passato di sofferenze può diventare una nostalgica età d’oro e un trauma profondo viene diluito fino a sembrare quasi sopportabile.
La seconda forza è l’identità personale: il celebre e tirannico IO. La memoria si piega, spesso con abilità impressionante, alla narrazione che ciascuno ha di se stesso. Siamo tutti protagonisti e narratori della nostra storia personale, e la memoria diventa alleata di questo processo egocentrico. Ciò che non si conforma alla nostra visione di noi stessi viene eliminato, modificato, riscritto, in una sorta di censura intima e costante. Un noto aneddoto racconta che Winston Churchill, discutendo con alcuni collaboratori, si convinse talmente della propria versione degli eventi che concluse: “La storia sarà gentile con me, perché ho intenzione di scriverla io stesso.”
Emerge così il paradosso della testimonianza individuale: fidarsi della propria memoria è fidarsi di una fonte sempre sospetta, che seleziona, omette, inventa, a volte persino mente. Non è raro convincersi della bontà di chi ci ha ferito profondamente, ricordando soltanto la dolcezza di pochi istanti isolati e tralasciando ogni evento devastante che pure dovrebbe pesare con chiarezza nel bilancio della memoria.
Ma se questa manipolazione è quasi inevitabile, ne possiamo almeno diventare coscienti? La risposta è sì, seppure con riserva. Possiamo guardare alla memoria con ironia critica, consapevoli che racconta non la verità, ma una verità tra le tante possibili. Non esiste una memoria assoluta e incorruttibile. La memoria emotiva è una costruzione, non una registrazione neutrale.
Forse la cura sta proprio nel saper sorridere dei propri inganni, nell’accettare che il nostro IO, tanto orgoglioso quanto vulnerabile, è un narratore fallibile. Forse è questa la via per smettere di subire la memoria e iniziare a dialogare con essa, riconoscendone la forza, ma anche i limiti.
La memoria ha sì potere assoluto, ma solo se la lasciamo agire indisturbata. A volte è necessario guardarla con il sorriso distaccato di chi sa che, in fondo, ognuno è solo il romanziere delle proprie illusioni.