I ricordi ti fanno compagnia, quelli dell’infanzia sono preziosi, rari e resilienti, ma impongono un tributo: sono una specie di metronomo della coscienza, scandiscono il trascorrere inesorabile del tempo. In compenso, tuttavia, fanno altro; nutrono le emozioni, coltivano una malinconia saturnina che ci fa centellinare le parole e illanguidire gli umori, regalano umanità insomma.
Facendo il calcolo dei costi e dei benefici, sono i benefici ad avere la meglio, a patto che si osservi l’orizzonte con un po’ di ottimismo.
Quando il mondo per me era così recente da farmi meravigliare di tutto e di tutti, due ricordi dell’infanzia si sono insinuati prepotentemente nella memoria e non sono mai stati rimossi. Non trova una ragione plausibile. Sono entrambi straordinariamente lontani, ma uno lo è così tanto da farmi dubitare che sia reale e non, piuttosto, uno scherzo della memoria, talvolta ingannevole e fallace. Vedo me, bambino, seduto sulle gambe di un soldato tedesco, che tiene in mano un fucile, poggiato a terra.
Il soldato siede, a sua volta, su una sedia, come tanti suoi commilitoni. Le sedie sono poggiate ad una parete. Il luogo è il caffè ristorante Trinacria, gestito dalla mia famiglia, ubicato sul Corso Vittorio Emanuele a Gela. Non ho memoria del volto del militare che mi intrattiene, ma conservo la piacevole sensazione di quel contatto fisico. I tedeschi, cattivissimi nell’immaginario collettivo, hanno potuto contare sull’atteggiamento paterno di quel soldato per invocare il diritto di non sprofondare nell’abisso del male.
Il ricordo dei particolari – luogo e gesti – induce a credere che sia tutto vero; all’incontrario, il tempo in cui l’episodio si svolge, induce a sospettare che possa essere frutto della mia fantasia infantile, sedimentata nel tempo con la complicità dell’infida memoria. Lo sbarco degli americani a Gela si svolse il 10 luglio 1943, la mia data di nascita – cui non posso sfuggire – risale al 20 novembre del 1941. Quel fanciullo seduto su gambe germaniche, aveva meno di due anni. E’ possibile che la memoria si allunghi a tal punto? La psicoanalisi crede di sì, ma pretende che il ricordo affiori durante una analisi. Potrei lasciare le cose come stanno senza condurre indagini di qualsiasi natura, ma non lo faccio; preferisco credere che l’episodio si sia realmente verificato, perché mi piace l’idea che quel soldato tedesco fosse un padre di famiglia, che come altri soldati di qualunque nazionalità in guerra, conservano la loro umanità.
Il ristorante Albergo Trinacria dopo lo sbarco ospitò lo stato maggiore USA, fu mio padre ad accogliere lo staff di Dwight D. Eisenhower, noto anche con il nomignolo di Ike: alcuni clienti dell’albergo il mattino del 10 luglio svestirono i loro abiti civili ed indossarono quelle di ufficiali dell’esercito americano.
Quando i militari lasciarono albergo e ristorante, mio padre ricevette una sorta di rimborso spese, trentamila lire, somma della quale conservo una ricevuta come una preziosa reliquia, a conferma che la guerra riesce a concedersi atti di inspiegabile correttezza formale. Il buon soldato tedesco e il pagamento dei pasti consumati e le vettovaglia andate perdute messe insieme, hanno avuto il potere di influenzare una attitudine dello spirito ad evitare giudizi manichei anche in tempo di guerra.
L’altro ricordo che tengo ben stretto, è più recente del primo, ma non di tanto. Risale ad un arco di tempo che va dal dopoguerra alla fine degli anni quaranta. Sulla sua veridicità non ho dubbi, sia perché la luce della memoria, alimentata dallo stato nascente che l’infanzia promuove, è così forte e irresistibile da avere ragione su ogni dubbio, sia per la presenza dell’Opera dei Pupi in Sicilia, in specie a ridosso delle due grandi città siciliane, Palermo e Catania.
Tutti i sentieri sembrano incrociarsi, concedendoci di scoprire luoghi che la memoria affiorante tiene in superficie, come la cresta delle onde increspate da appena un alito di vento. Assistetti sulle panche rudimentali di legno agli spettacoli ed ascoltati la voce stentorea e rude, o esile e languida del puparo. Fuori dai teatrini, i Paladini viaggiavano con i contadini sulle sponde e il portello posteriore dei carretti siciliani, illuminando la fantasia dei bambini e suscitando la curiosità degli adulti, cui incombeva l’obbligo di spiegare quel teatro viaggiante colorato e intenso.
Era un esercizio di immaginazione, che i bambini di quel tempo arricchivano di profezie sulla buona sorte dei pupi più amati: Orlando e la sua dolce Angelica, Rinaldo, Astolfo, Gano di Magonza. L’epopea dei cavalieri ribelli, animati da forti valori e da una incontenibile volontà di combattere prepotenze e abusi, divenne una favola grazie ai “cuntisti” che dalle piazze, si trasferiscono nei teatrini, costruiti alla meglio nelle spaziose case terrane dei paesi.
L’Opera dei Pupi fu recitata in due teatrini a Gela, stando ai miei ricordi. Uno di essi si trovava in Via G.Navarra Bresmes, ed un altro in Via Pisa, la stradina dei pescatori. Il teatro dei Pupi a Gela partecipò all’educazione culturale dei bambini. Era cinema, teatro, televisione, radio. Magia, sogno, avventura, messi insieme. L’epopea carolingia divenne favola e ancora oggi è parte della tradizione popolare siciliana.
ll ricordo del Teatro è affiorato seguendo un programma televisivo della RAI, Origini, durante il quale il re dei pupari siciliani, Mimmo Cuticchio, ha raccontato la storia della sua famiglia.
Una storia di girovaghi, che hanno fatto tappa a Gela, città in cui Mimmo Cuticchio è nato, primo dei sette figli maschi del cav. Giacomo Cuticchio. La compagnia dei pupari fece tappa a Gela, forse più di una volta, rappresentando il ciclo della storia dei paladini di Francia. A differenza dei contastorie, che si concedevano brevi soste, cambiando piazza o paese nelle loro esibizioni pubbliche, i pupari erano per così dire più “stanziali”. Mettere in piedi il teatro e poi smontarlo era faticoso e richiedeva un ambiente idoneo e facilmente raggiungibile.
Quando il ciclo dei carolingi, ispirato dalla Chanson de Roland e dalla poesia di Ludovico Ariosto, fece il suo tempo, Mimmo aprì una nuova pagina del teatro dei pupi. I “cunti” furono dedicati alla infanzia dei Paladini. Il puparo pensava che sarebbe piaciuta ai bambini, e così fu: gli spettatori tornarono ad affollare le panche del teatro. Fu un’idea giusta, la fiaba ebbe i contenuti oltre che il linguaggio adatto al pubblico dei più giovani, senza cambiare la tradizione, anzi aiutandola a sopravvivere.
I Pupi continuano a far sognare i bambini? Le marionette non reggono la concorrenza – social e cellulari, computer, cinema, televisione – appartengono al racconto orale, giullaresco, alle guasconate della Spagna di Don Chisciotte e al romanticismo dumasiano. Mimmo Cuticchio, gelese per caso (e per mestiere), riesce a far sopravvivere l’Opera dei Pupi. Un miracolo. Grazie alla sua tenacia ed alla sua arte l’Opera dei Pupi sta per compiere il terzo secolo di vita. I Paladini non viaggiano con i carretti. Restano le fiabe dei Paladini. E resta l’urlo dell’ultimo puparo, che risuona ancora dentro di me: “Il sole tramonta, la luna svanisce e don Chiano si finisce…” Dubito che sia stato inventato dalla mia memoria.
I Paladini di Francia rappresentano una tradizione iconica della Sicilia. Il teatro dei Pupi corteggia l’epopea francese della Chanson de Roland, facendo dei cugini d’Oltralpe inimitabili compagni dei nostri sogni di fanciulli. Questo omaggio e questa seduzione convivono con il più tetro e sanguinoso episodio della storia siciliana, affollata di conquistatori ed avara di ribellioni: I Vespri siciliani, scoppiati il giorno dell’Angelo del 1282, il 30 marzo.
Le cronache spiegano che i francesi invasori furono sprezzanti e maldestri, trasferirono a Napoli la capitale, trattarono malissimo i baroni siciliani e molestarono le donne palermitane. La cosa straordinaria è che i Paladini di Francia, amatissimi, ed i tristi francesi di Carlo D’Angiò convivono nell’immaginario dei siciliani, seppur con sentimenti opposti. Giusto come convivono nella mia piccola storia il tedesco buono e la diligenza degli americani.