“Formalizzare nuovi reati non costa nulla ma permette ricavi propagandistici e rafforza una concezione autoritaria e divisiva dello Stato”, osserva osserva Aldo Grasso,( Corriere della Sera 15.9.24), commentando la decisione del governo Meloni di introdurre nuovi reati, aggravanti, inasprimenti di pene. Grasso sottolineare quella che sembra una deriva giustizialista e punitiva del governo, volta a rafforzare una concezione autoritaria dello Stato Il tema è di palpitate attualità. La destra si caratterizza attraverso gli strumenti politici che le sono più congeniali e la sinistra, proprio su questo terreno, è costretta a marcare la sua diversità.
Il governo di destra guidato da Giorgia Meloni sta puntando su una strategia chiaramente indirizzata a rafforzare l’apparato repressivo e penale dello Stato. L’introduzione di nuove fattispecie di reato e l’inasprimento delle pene si inseriscono in un contesto in cui la sicurezza viene presentata come la priorità assoluta per il Paese. L’approccio riflette una visione semplificata e autoritaria del problema; solo attraverso la deterrenza e la punizione si possano risolvere questioni complesse come la criminalità o il dissenso sociale.
Questa politica penale, che si basa quasi esclusivamente sull’inasprimento delle pene, rischia di portare ad un restringimento delle libertà individuali e collettive. La logica sembra essere quella di incutere timore, ma senza affrontare le radici socio-economiche che spesso sono alla base dei problemi di sicurezza. La proposta legislativa all’esame della Camera, fortemente criticata anche da giuristi, sembra mirare non solo a combattere la criminalità, ma anche a colpire forme di dissenso, inserendo nella sfera penale atteggiamenti che potrebbero essere espressione di conflitto sociale o politico.
Il ricorso a misure giustizialiste non è una novità nelle politiche di destra. Storicamente, i governi conservatori e di estrema destra hanno spesso utilizzato lo strumento penale per riaffermare l’ordine e la stabilità sociale. Tuttavia, questa strategia porta con sé il rischio di una deriva autoritaria, in cui lo Stato non è più percepito come garante di diritti e libertà, ma come entità repressiva. In questo contesto, il rischio è che lo Stato si configuri come un’entità che limita e controlla, piuttosto che garantire il benessere dei cittadini attraverso politiche inclusive e preventive.
Il commento di Aldo Grasso evidenzia una pericolosa tendenza: la formalizzazione di nuovi reati e l’inasprimento delle pene non sono soluzioni che richiedono grandi investimenti economici, ma offrono notevoli rendimenti propagandistici. Permettono al governo di presentarsi come forte e deciso nel rispondere alle paure della popolazione, anche a costo di sacrificare i principi democratici e liberali.
Di fronte a questo indirizzo penalista, la sinistra si trova costretta a marcare la propria diversità, non solo in termini ideologici, ma soprattutto politici e programmatici. Una delle critiche principali che la sinistra muove alla destra riguarda proprio l’illusione che la semplice repressione possa risolvere problemi complessi come la sicurezza, la criminalità o il dissenso. La sinistra, storicamente, ha cercato di promuovere una visione alternativa che si fonda sulla prevenzione, l’inclusione sociale e il rispetto delle libertà.
La sicurezza non si costruisce solo attraverso la repressione, ma anche attraverso politiche di welfare, educazione, occupazione e inclusione; è essenziale riaffermare il valore delle libertà democratiche e il ruolo dello Stato come garante dei diritti, non solo come forza repressiva.
Uno dei principali limiti dell’approccio penalista è che esso tende a vedere la sicurezza esclusivamente attraverso il prisma del crimine e della devianza, trascurando le cause profonde dei problemi sociali. La criminalità, così come il dissenso, spesso ha radici nella marginalizzazione, nella disuguaglianza economica e nella mancanza di opportunità. Affrontare questi problemi solo con il bastone delle pene più severe rischia di esacerbare la situazione, creando una società più divisa e polarizzata.
Il governo Meloni, con la sua enfasi sul controllo penale, sembra ignorare la necessità di politiche più ampie e integrate che affrontino i fattori strutturali alla base dell’insicurezza. La sinistra, da parte sua, deve promuovere una visione alternativa in cui la sicurezza non sia solo l’assenza di criminalità, ma anche la presenza di giustizia sociale, coesione e opportunità per tutti.
La deriva giustizialista e autoritaria che sembra emergere dalle politiche del governo Meloni rappresenta una sfida non solo per l’opposizione politica, ma anche per la società civile nel suo insieme. Il rischio di una restrizione delle libertà, giustificata in nome della sicurezza, non deve essere sottovalutato. La politica penale non può essere l’unico strumento per affrontare le questioni sociali: serve un equilibrio tra sicurezza e libertà, tra controllo e inclusione. Solo così si può costruire una società davvero sicura e giusta.