Il Tribunale di Ravenna ha assolto Pierluigi Bersani, storico esponente della sinistra italiana, dall’accusa di diffamazione nei confronti del generale Roberto Vannacci, cui aveva rivolto l’accusa di essere un coglione, subendo una querela. La vicenda risale a un anno fa, quando, durante un’intervista alla Festa dell’Unità, Bersani si era lasciato andare a un commento al vetriolo nei confronti di Vannacci, definendolo, appunto, con l’epiteto “coglione”. Il generale ha ritenendo che quel termine fosse lesivo della sua dignità e reputazione. E’ decisamente una buona notizia, perché l’epiteto è molto diffuso e i destinatari, assai spesso, contrariamente a quanto avvennuto nel caso Bersani-Vannacci in un’aula di tribunale, sono persone stimabili e cari amici, non solo persone…meritevoli, sicché l’epiteto, divenuto metafora, ci fa sentire meno colpevoli, a patto di essere disposti a barare con noi stessi.
Aldilà di ciò, l’episodio è divertente, ed è facile intuire quali reazioni abbia provocato la sente neza del giudice nel generale Vannacci, che si fregia di mezzzo milioi di estimatatori, quanti ne ha avuto alle urne in occasione delle elezioni europee.
La Procura aveva sostenuto la querela di Vannacci, chiedendo per Bersani una condanna al pagamento di 450 euro di multa. La sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) ha stabilito che “il fatto non sussiste”, assolvendo Bersani e ponendo una chiara distinzione tra critica e diffamazione. L’uso del termine “coglione”, secondo la corte, non può essere interpretato come diffamazione in senso stretto, poiché rientra nel diritto di critica politica e, soprattutto, nella sfera della metafora.
Nelle motivazioni, il GIP ha evidenziato che “il querelante ha confuso la figura della metafora con quella dell’allegoria”. Una distinzione sottile, ma fondamentale in ambito giuridico, che separa il giudizio sulla persona da un giudizio sull’opinione espressa. La corte, infatti, ha riconosciuto che, nel contesto di un dibattito politico, certe espressioni possono risultare colorite, persino volgari, ma non sempre hanno l’intento di colpire direttamente la reputazione dell’individuo.
La sentenza non solo ha riaperto la discussione sui limiti della libertà di espressione nel discorso pubblico, ma ha anche sollevato interrogativi su come certi termini possono essere giudicati diversamente in base al contesto.
(Digital Gazette, 5 novembre 2024, e on solo)