Le recenti vicende in Romania segnano un punto di svolta preoccupante nella storia contemporanea delle ingerenze politiche, portando in primo piano una minaccia che, pur già nota, si manifesta oggi con una forza e un’efficacia senza precedenti. Le ingerenze di Mosca hanno convinto la Corte costituzionale rumena a deliberare l’annullamento di una consultazione elettorale, che si apprestava a scegliere, al primo turno, il Presidente della Repubblica. Aveva vinto il candidato filorusso, battendo lo sfidante filoeuropeo. In Romania, le dimensioni del fenomeno non sono ancora quantificabili con precisione, ma il peso delle attività digitali nel risultato elettorale è stato ritenuto così significativo da invalidare l’intera consultazione.
L’annullamento della consultazione elettorale per il primo turno delle presidenziali, decretato dalla Corte costituzionale rumena a seguito di comprovate influenze esterne sui social media, rappresenta perciò un monito severo. Secondo le analisi emerse, la vittoria del candidato filorusso in Romania sarebbe stata il risultato di una strategia mirata che ha coinvolto piattaforme come TikTok e campagne di troll orchestrate ad arte. L’obiettivo non era solo orientare l’opinione pubblica, ma manipolarne le percezioni in modo sistematico, minando la capacità di giudizio critico e alterando il corso naturale del dibattito democratico. Questo non è un fatto isolato: già nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e nel referendum sulla Brexit del 2016, le “ombre russe” avevano destato preoccupazioni, senza però spingere le istituzioni a prendere provvedimenti formali.
Secondo il rapporto 2023 di Graphika e Atlantic Council, circa il 75% delle campagne di disinformazione rilevate nell’ultimo decennio proveniva da gruppi legati alla Russia. La piattaforma Tic-toc ha registrato una crescita del 400% nell’utenza europea negli ultimi cinque anni, diventando un veicolo privilegiato per messaggi politici, spesso senza alcuna regolamentazione. Un’indagine condotta nel 2022 da Pew Research Center ha rivelato che il 64% degli intervistati nei paesi democratici considera i social media uno strumento di manipolazione, soprattutto in periodo elettorale.
TikTok conta oltre un miliardo di utenti attivi nel mondo, con una crescita esponenziale tra i giovani europei. In Romania, secondo un’indagine del 2023, oltre il 60% dei cittadini tra i 18 e i 35 anni utilizza TikTok quotidianamente come fonte primaria di informazione. Una tale penetrazione ha offerto terreno fertile per campagne di disinformazione mirate, costruite su narrazioni polarizzanti e manipolazioni emozionali. L’interferenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 fu provata. Secondo il rapporto del Senato americano, furono identificati almeno 126 milioni di utenti esposti a contenuti manipolati su Facebook e altri 10 milioni tramite pubblicità acquistate da account russi.
La tecnologia digitale, nata con l’ambizione di connettere il mondo e favorire il pluralismo informativo, si è trasformata in un’arma nelle mani di regimi autoritari o di poteri forti interessati a perseguire obbiettivi pianificati. L’uso dei social media da parte di regimi autoritari non è solo una tattica per influenzare singole elezioni, ma una strategia più ampia per minare le fondamenta delle democrazie liberali. La facilità con cui piattaforme globali come TikTok, Facebook e Twitter possono essere inondate da contenuti manipolati pone una questione cruciale: come difendere il pluralismo delle idee senza sacrificare la libertà di espressione?
L’annullamento delle elezioni rumene sembra indicare un cambiamento di passo, l’uso sistematico dei social nell’attacco aggressivo e ormai manifesto contro le democrazie liberali con risultati sconvolgenti, la disaffezione dei cittadini verso le istituzioni rappresentative ed una smaccata preferenza verso soluzioni alternative di stampo autoritario. In Italia in sondaggi ufficiali, per esempio, fanno emergere un chiaro favore verso leader forti in fasce della popolazione scontente dello status quo.
Il caso rumeno, pur drammatico, offre una lezione preziosa: ignorare il potenziale distruttivo dei social media nelle mani di attori maligni significa lasciare che il processo democratico venga gradualmente svuotato di significato. È essenziale che le democrazie liberali si dotino di meccanismi per preservare l’integrità del voto, contrastare la manipolazione digitale e promuovere un’alfabetizzazione mediatica diffusa. In un mondo in cui i confini tra realtà e manipolazione diventano sempre più labili, la posta in gioco non è solo l’esito di una singola elezione, ma la sopravvivenza stessa di un ordine democratico fondato sulla libertà e sull’autodeterminazione dei popoli.
Rischiamo di subire il lavaggio collettivo del cervello ?