L’amore comincia con la freccia lanciata da Cupido. E la freccia provoca una ferita. Lo ha ricordato Paolo Crepet. Che cosa ci vuole dirci? E’ cambiato l’amore, bisogna tenere conto della spinta selvaggia che lo sorregge, è morta l’elegia amorosa dantesca. Le donne uccise da amori sbagliati, il sesso virtuale che cresce, la solitudine tecnologica sembrano confermarlo….
Paolo Crepet si serve di un’immagine antica e potente: l’amore che inizia con una freccia scoccata da Cupido, una ferita che brucia e trasforma. Un’immagine che oggi sembra quasi anacronistica, sepolta sotto il peso di un mondo in cui il sentimento appare consumato tra le pieghe della tecnologia, del sesso disincarnato, della solitudine 2.0. Eppure, la metafora resiste, perché quella ferita non è solo romantica: è selvaggia, è primitiva, è l’eco di un desiderio che non possiamo ignorare.
L’amore è, per sua natura, un’esperienza che lacera. La freccia di Cupido non ci accarezza, non ci avvolge in un dolce abbraccio: colpisce, lascia un segno. Crepet ci invita a riflettere su questo: l’amore è uno strappo che ci toglie dal nostro centro di gravità, un’attrazione che ci sbilancia, un rischio che spesso preferiremmo non correre. Nel mondo di Dante, l’amore era sublimato, trasfigurato in elegia; oggi, l’amore sembra essere diventato soprattutto un affare di carne e istinto, di scambio rapido e consumato. La ferita, tuttavia, rimane: quel dolore iniziale, quella vertigine, è ciò che rende l’amore autentico, anche quando lo riduciamo a istinto o impulso.
Ma quale freccia ci colpisce oggi? Forse non più quella di Cupido, ma quella delle notifiche di un’app di dating, di un messaggio che promette piacere immediato e zero complicazioni. Il sesso virtuale, la pornografia sempre più pervasiva, le relazioni vissute a distanza sono tutte forme in cui la ferita si fa opaca, confusa. Ci innamoriamo delle immagini che ci costruiamo, dei filtri che migliorano i volti, delle idee più che delle persone. E così, invece di una passione che incendia e trasforma, ci troviamo di fronte a un surrogato che illude ma non riempie.
La tecnologia, che avrebbe dovuto avvicinarci, ha spesso acuito la solitudine. Viviamo in un’epoca dove si “parla” senza mai guardarsi negli occhi, dove il tocco è sostituito dallo schermo. La ferita dell’amore, dunque, non è più solo il segno di un incontro, ma anche quello di un’assenza, di un’umanità che si perde nel virtuale.
Eppure, c’è qualcosa nella freccia di Cupido che non cambia, nonostante tutto. L’amore, anche oggi, ci chiede coraggio. Coraggio di esporsi, di accettare la ferita, di lasciarsi coinvolgere senza la garanzia di un lieto fine. Nonostante la brutalità del nostro tempo – i delitti passionali, le relazioni tossiche, l’amore ridotto a merce – l’amore autentico resta un gesto rivoluzionario.
Dobbiamo imparare a convivere con la ferita, a non temerla. Accettare che amare significhi rischiare, significa riconoscere che siamo esseri vulnerabili, imperfetti, ma proprio per questo capaci di vivere esperienze straordinarie.
Cupido non ha mai promesso felicità eterna. Ci ha solo regalato una freccia: sta a noi decidere se usarla per ferire o per amare.