In quell’infinito repertorio della saggezza popolare che è il dialetto siciliano, il termine bazzarioto dipinge una figura antica e sempre attuale: il venditore di poca merce e molte parole, capace di raggirare l’avventore con arte consumata. Un imbonitore di strada, maestro nel promettere meraviglie e nel vendere, alla resa dei conti, ben altro. Non si tratta solo di stoffe lise o ninnoli senza valore: il bazzarioto vende sogni, illusioni, rassicurazioni, salvo poi dileguarsi quando il credito si esaurisce.
Trasportiamo ora questa immagine vivace nei palazzi bianchi di Washington, ed ecco che il parallelo prende corpo. Donald Trump, al suo secondo giro di giostra presidenziale, sembra incarnare appieno questo archetipo. Il suo manuale di sopravvivenza — The Art of the Deal — prescrive di spararla grossa, chiedere l’impossibile, minacciare, per poi accontentarsi di ciò che si riesce a strappare. Una strategia che, nei suk di Istanbul o nei vicoli di Marrakech, avrebbe riscosso plausi; ma che nei teatri complessi della diplomazia internazionale lascia dietro di sé un’impressione di instabilità e, talvolta, di farsa.
I primi mesi della nuova amministrazione non smentiscono il copione: promesse altisonanti, ritrattazioni repentine, dichiarazioni incendiarie seguite da silenzi imbarazzati. Né il popolo americano, né i mercati finanziari sembrano più disposti a prestare credito illimitato al bazzarioto. Secondo i più recenti sondaggi (Washington Post), Trump registra la popolarità più bassa mai registrata da un presidente nella storia moderna. The Economist, senza troppi giri di parole, ha già cominciato a contare i giorni che lo separano dal termine naturale del mandato.
Ed è qui che entra in scena la premier italiana. Con zelo e una punta di astuzia, Giorgia Meloni ha scelto di coltivare il rapporto personale con Trump, intravedendo nella sua figura il punto di convergenza del sovranismo globale. È un investimento politico ad alto rischio: nella speranza di diventare l’interlocutrice privilegiata dell’America trumpiana in Europa, Meloni scommette sulla lealtà di un bazzarioto, confidando di poter trasformare una relazione opportunistica in una stabile alleanza.
Ma la storia, e anche il buon senso, insegnano che il bazzarioto è fedele solo ai propri interessi. Oggi ti chiama “amico”, domani ti scarica senza troppi scrupoli, se un altro cliente promette un guadagno migliore. E le sue finalità hanno una stella polare, fare i propri interessi, che nel caso di Trump va inteso in senso letterale, interessi personali.
La recente esperienza della leader messicana, che ha dovuto imporsi con fermezza per ottenere il rispetto di accordi commerciali, è lì a dimostrarlo: con il bazzarioto non si discute, si mercanteggia. E chi si illude di legarlo con la fiducia rischia di rimanere, alla fine, con un tappeto bucato in mano.
La domanda, allora, è meno retorica di quanto sembri: conviene davvero, oggi, affidare il destino politico di una nazione all’amicizia mercuriale di un bazzarioto? O sarebbe più saggio ricordare che, al bazar della politica mondiale, il miglior affare è non fidarsi di chi troppo promette?