Fausto Bertinotti, già presidente del Senato, uno dei leader del Pci e dopo Pci della sinistra italiana, ha esternato a La7 la sua forte emozione nell’assistere ai funerali di Papa Francesco: due funerali in uno, osserva Bertinotti, l’uno, il funerale della gente comune, e l’altro dei potenti del mondo “che la Chiesa può permettersi di far diventare minuscoli”. Ill Pontefice scomparso avrebbe compreso, il solo, che il mondo con la guerra mondiale a pezzi stava vivendo un tempo dell’Apocalisse, che potrebbe condurci alla catastrofe. Questo contesto, dice Bertinotti, induce Francesco a invocare la pace come un bene al quale sacrificare ogni pur dura rinuncia, anche issare la bandiera bianca: la pace “pretesa” da Francesco, così impervia e ingenerosa, in definitiva, è il solo mezzo per evitare l’Apocalisse. Trump e Zelensky, che parlano l’uno in fronte all’altro sotto la cupola di San Pietro, è qualcosa di straordinario, quanto l’immenso popolo cristiano, segno della potenza della Chiesa. “Ho sentito una forte commozione, paragonabile a mia memoria, ai funerali di Enrico Berlinguer”, confessa Bertinotti.
I destini finali dell’universo, lontani e forse irraggiungibili, sarebbero apparsi nella giornata di lutto per il pontefice scomparso, con la dimostrazione di potenza della Chiesa di Roma e del suo popolo? Una visione salvifica, quasi mistica, che richiede fede. La fede del credente o la fede nel popolo? Il popolo di Dio o il popolo dell’uomo, padrone del suo destino? L’ideologia comunista di Bertinotti arretra difronte alla potenza spirituale della Chiesa di Roma, una volta sponda avversa? O si consegna ad una conversione?
Fausto Bertinotti, da comunista, aveva creduto che la storia fosse il teatro della liberazione umana. Da uomo del Novecento, aveva combattuto l’idea di una trascendenza che sottraesse al popolo la padronanza del proprio destino. Eppure, nel giorno del funerale di Papa Francesco, Bertinotti ha riconosciuto qualcosa che ha scosso, se non rovesciato, le sue certezze: la potenza della Chiesa di Roma, e il senso di un’Apocalisse che solo la rinuncia può fermare. Non è un cedimento momentaneo, piuttosto la confessione implicita di un fallimento: quello della politica, incapace oggi di arginare la deriva della guerra, della violenza, della distruzione globale. L’antica fede comunista si arresta davanti alla “pretesa” di pace di Francesco: una pace che non è negoziata, non è armata, ma è offerta a mani nude, al prezzo della bandiera bianca.
Per Bertinotti, il funerale di Francesco, il suo lascito, è una visione insostenibile e irresistibile insieme. Insostenibile, perché chiede al soggetto storico — il popolo, la massa, la volontà collettiva — di abdicare alla lotta. Irresistibile, perché in questo gesto si concentra la sola forza rimasta in un mondo che corre verso la rovina. Così il vecchio comunista scopre che l’unica “chiesa” oggi credibile non è più il partito, ma quella che sa rendere minuscoli i potenti, seduti uno difronte all’altro come Trump e Zlensky, e promuove il popolo senza armi.
Non si tratta di una conversione religiosa, o non appare tale fino in fondo. È una conversione culturale, antropologica che forse la precede: la presa d’atto che senza un salto di coscienza, senza una fede — laica o sacra — nella sopravvivenza dell’umano, non ci sarà alcun “domani” da costruire. Ingabbiare perciò Francesco dentro la sinistra politica o su un altro campo, è una “sgrammaticatura”: obbedisce ad un codice secolare e non riconosce una dimensione extrasecolare, avverte Bertinotti: “Francesco è il Papa del Vangelo, e la sinistra, orfana, ha trovato consolazione in lui.”
La commozione di Bertinotti, insomma, non è nostalgia, è apertura ad visione altra dell’umanità sofferente. È il segno che anche i più irriducibili devono arrendersi all’evidenza: la politica ha perso la sua forza salvifica. O sarà fede, o non sarà. Ha ragione?