Dice Guido Vitiello sul Foglio (19.9.24) che ci sarebbero due lingue, che indicano la biforcazione dei destini incrociati di Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Queste due lingue, la truculenta e la plebea, incarnano due tentazioni storiche dell’italiano – per dirla con Umberto Eco, il “parla come mangi” e l’“esprimiti siccome ti nutri”. Sono come l’acqua e l’olio, possono convivere occasionalmente in forma annacquata (in fondo, la lingua dei politici è spesso un’alternanza calcolata di semplificazioni triviali e complicazioni inutili, a seconda che convenga farsi capire o no); ma nella loro forma purissima – l’insulto greve e l’antilingua evasiva – è raro che le due aberrazioni si combinino stabilmente.
Vitello propone una riflessione acuta sulla coesistenza di due “lingue” nella politica italiana contemporanea: la truculenta e la plebea, due modalità espressive che incarnano tensioni storiche e culturali profonde nell’evoluzione della lingua italiana. Queste due lingue rappresentano, da un lato, un modo crudo e violento di esprimersi, spesso legato al linguaggio dell’insulto e della volgarità (“la truculenta”), e dall’altro, una semplicità eccessiva che sfocia nella banalizzazione e nella superficialità comunicativa (“la plebea”).
La riflessione di Vitiello si concentra sull’uso di queste due lingue in politica, dove le semplificazioni triviali convivono con complicazioni volutamente oscure. La lingua truculenta si manifesta nella brutalità di certi attacchi politici e nell’uso di epiteti forti, mentre la lingua plebea si esprime in frasi semplici e dirette, che hanno lo scopo di essere comprese dal “popolo”.
I politici contemporanei alternano comunque momenti di semplificazione voluta (per raggiungere il pubblico più ampio possibile) con momenti di oscurità e ambiguità (per non farsi capire o per distogliere l’attenzione).Il conflitto interno al Movimento 5 Stelle, tra il fondatore Beppe Grillo e l’attuale leader Giuseppe Conte, riflette in parte questa dualità linguistica.
Le due lingue incarnano due tentazioni storiche che continuano a influenzare il discorso pubblico in Italia. La loro convivenza riflette un equilibrio instabile e spesso opportunista tra il desiderio di essere compresi dalle masse e la volontà di mantenere un certo grado di opacità e ambiguità. Il linguaggio di Beppe Grillo e Giuseppe Conte rappresenta simbolicamente due fasi distinte dell’evoluzione del Movimento 5 Stelle (M5S), riflettendo il cambiamento di direzione e di strategia comunicativa del movimento, e più in generale, il suo passaggio da forza antisistema a partito di governo.
Grillo, noto per i suoi attacchi violenti e per il linguaggio populista, incarna in molti sensi la lingua truculenta, fatta di insulti e semplificazioni. Conte, al contrario, utilizza un linguaggio più pacato e complesso, che tende spesso all’astrattezza e alla vaghezza, più vicino alla lingua plebea. Il fondatore del M5S, ha rappresentato fin dall’inizio la fase più populista, dirompente e provocatoria del movimento. Il suo linguaggio era marcato da una forte truculenza: aggressivo, diretto, volutamente polemico e carico di insulti. Attraverso il suo blog e i comizi in piazza, Grillo ha usato espressioni violente e slogan semplificati per attaccare il sistema politico tradizionale, chiamando i politici “zombie”, “ladri”, “corrotti” e descrivendo il Parlamento come un “pollaio”.
Questa lingua truculenta rispecchiava la natura antisistema e populista del M5S nelle sue origini, presentandosi come la voce di protesta contro l’establishment, un movimento di opposizione radicale e non mediato. Grillo parlava “come mangia”, con un linguaggio che rifletteva il disprezzo per la classe politica, e cercava di essere il più comprensibile possibile per i cittadini, spesso con un tono teatrale e iperbolico.
Con l’arrivo di Giuseppe Conte, la leadership del Movimento ha iniziato a cambiare tono e strategia comunicativa. Conte, ex presidente del Consiglio e attuale leader del M5S, ha adottato un linguaggio più plebeo, ovvero semplice e pacato, ma con un tono istituzionale e spesso ambiguo. A differenza di Grillo, Conte tende a evitare le espressioni truculente, preferendo un linguaggio che punta alla mediazione e al compromesso. La sua retorica è meno aggressiva e più riflessiva, orientata alla costruzione di consenso, soprattutto tra gli elettori più moderati.
Questo cambiamento riflette il tentativo del M5S di trasformarsi da movimento di protesta a partito di governo, un passaggio delicato che ha comportato l’esigenza di adottare un linguaggio più sobrio e istituzionale. Conte, pur mantenendo una certa semplicità nella comunicazione per rimanere accessibile, ha dovuto abbandonare l’aggressività di Grillo per posizionarsi come una figura di equilibrio e affidabilità.
Nella fase di opposizione, il linguaggio di Grillo era essenziale per raccogliere consensi tra i cittadini scontenti e alienati. Durante e dopo l’esperienza di governo, il linguaggio di Conte ha tentato di rassicurare gli elettori, cercando di legittimare il M5S come forza politica seria e affidabile.